«Cassisi, da una disputa un processo di due anni»
Cassisi, il giudice sull’assoluzione: Amaddeo non era indifeso e fragile
«Questioni che si potrebbero definire quasi bagatellari», scrive il giudice Giovanni Petillo riguardo agli scontri tra i medici Paolo Amaddeo e Antonino Cassisi, assolto il 22 giugno scorso.
Premette che sarà conciso, il giudice Giovanni Petillo, nel motivare l’assoluzione di Antonino Cassisi. E questo «per una sorta di contrappasso rispetto a quella che è stata la lunghezza del processo».
Ecco, la lunghezza. «Una ventina di udienze istruttorie, circa 60 testimoni sentiti, 5 faldoni fitti di documenti acquisiti agli atti» hanno impegnato il collegio per più di due anni. «Un dispendio di energie processuali così ampio — è sempre l’incipit della sentenza — farebbe pensare che quelle portate all’attenzione dei giudici debbano essere vicende giudiziarie di gravissima portata, capaci di incidere in maniera drammatica ed allarmante sui diritti e sugli interessi di un’ampia collettività di soggetti». In realtà, rileva Petillo, in aula è andata in scena «sostanzialmente» la disputa fra i due medici rivali: l’imputato Cassisi (avvocato Dario Romano), 61 anni, dal 2014 primario della Chirurgia maxillo facciale del Papa Giovanni XXIII, e il collega che aspirava a quell’incarico Paolo Amaddeo, 63 anni. Fu lui a portare il caso direttamente in Procura, costituendosi poi parte civile con l’avvocato Federico Pedersoli («Valuteremo se fare appello») e avviando in parallelo una causa contro l’ospedale.
Dei 12 capi d’imputazione l’accusa di maltrattamenti, le vessazioni che Amaddeo sostiene di avere subito da Cassisi tra il 2012 e il 2013, è il cuore. Gli altri reati fanno «da contorno», ma, comunque, la conclusione è che non stanno in piedi. Il falso per avere redatto il verbale degli interventi senza specificare, in 7 occasioni, la presenza di un chirurgo esterno per il Tribunale non regge né da un punto di vista giuridico, perché quella è una prassi e perché a occuparsi del verbale non era Cassisi, né per logica: non ne avrebbe tratto alcun vantaggio. Gli abusi d’ufficio si fondano su accuse definite in un caso «evanescenti», in un altro «paradossali». Il primario viene bacchettato solo nel capitolo peculato. Il pm contesta la mancata corresponsione all’ospedale della percentuale delle somme incassate per visite mediche effettuate nel proprio studio provato. Il reato non c’è, perché, al di là delle questioni di diritto, i pazienti si rivolgevano a Cassisi in virtù della sua fama. Il giudice, però, ritiene la sua condotta «censurabile sotto il profilo deontologico», perché effettuava le visite «in violazione degli impegni contrattuali», e «sotto il profilo dell’onestà tributaria», visto che si faceva pagare «in nero».
Ma, appunto, sono i rapporti «tesi e burrascosi» tra il «fumantino» Cassisi e il «suscettibile» Amaddeo a tenere banco, il primo con un approccio al lavoro «appassionato e coinvolgente», l’altro «più distaccato e quasi burocratico». Precisato che «appare davvero arduo» per il giudice attribuire un ruolo di «subalterno» ad Amaddeo, che è risultato persona «non certo indifesa e fragile», andando a valutare i singoli comportamenti «si scopre che le accuse in alcuni casi risultano inconsistenti, in altri si riferiscono a questioni che si potrebbero definire quasi bagatellari». Infine, viene riporta la valutazione psichiatrica fatta su Amaddeo nella causa contro l’ospedale. Sembra chiudere il cerchio di una vicenda nata sull’onda della promozione di Cassisi e nutrita dall’indole dell’altro. Quasi certo il ricorso del pm Giancarlo Mancusi.
Approcci opposti «Appassionato e coinvolgente» Cassisi, «più distaccato e quasi burocratico» Amaddeo