LA RIFLESSIONE
Una classe dirigente «fordista» confonde l’uguaglianza con l’uniformità senza valorizzare le differenze dei singoli contesti
Sempre da febbraio era lecito aspettarsi che si considerasse anche la circostanza che gli studenti hanno una famiglia nella quale possono dare e ricevere il virus, che la maggior parte di essi usa i mezzi pubblici per andare a scuola sui quali, essendoci calca, possono diffondere o ricevere il contagio e soprattutto che le città sono un conto, mentre la campagna e la montagna sono un altro. Proprio per questo la specificità del problema andava affrontata come tale. Niente. Noi invece abbiamo continuato a scambiare l’uguaglianza con l’uniformità. E assistere alle litanie dei mass media e al coro degli intellettuali che invocano altro centralismo e uniformità per tutti fa una certa impressione a chi è convinto che la libertà e la responsabilità delle persone e delle formazioni sociali di cui parla la Costituzione siano la cifra essenziale di ogni vera educazione (e di ogni vera democrazia), e valgano incomparabilmente di più dell’imperium centralizzato e delle anche più dure sanzioni comminate (ma quasi mai eseguite per ovvia impossibilità di procedere ad adeguati controlli) a chi non lo rispetta.
Sono quasi 2500 anni che l’etica di Aristotele ha insegnato in maniera eminente che non è possibile avere giustizia senza eguaglianza, ma anche che non ci può essere uguaglianza senza equità, cioè senza rispettare e valorizzare