Corriere della Sera (Bergamo)

Simona Ventura a Venezia: racconto l’ospedale in Fiera

Ventura al Festival di Venezia racconterà l’ospedale da campo e «Le 7 giornate di Bergamo»: quando i volontari lo costruiron­o «Sarà il mio punto di vista»

- F.Fumagalli

Di primo acchito, si cerca l’omonimia. Ma non è questo il caso. È presto chiaro (grazie ai social) che Simona Ventura, la regista di «Le 7 giornate di Bergamo» — in Selezione ufficiale alla prossima Mostra del Cinema di Venezia (fuori concorso, sezione Proiezioni speciali) — sia proprio lei. La famosa Simona Ventura, nata nel 1965 a Bologna e piemontese di adozione. Ora cineasta a Venezia («andarci mi riempie di gioia»).

Al cinema è apparsa poco e male, sempre come attrice («Fratelli coltelli», «La fidanzata di papà»). Ma la sua carriera in tv è scintillan­te. Dal Festival di Sanremo a «Mai dire gol» e «Quelli che… il calcio», ha condotto quasi tutte le pietre miliari del piccolo schermo nazionalpo­polare. Altre trasmissio­ni, le ha inventate di sana pianta e consegnate al mito dell’auditel: «Le iene», «L’isola dei fa mosi», «X Factor». Adesso, all’esordio dietro la macchina da presa, si avventura in un documentar­io di dramma e speranza, girato a Bergamo nei giorni più bui della pandemia. «Avevo voglia di raccontare il mio punto di vista, su un fatto che ha segnato profondame­nte le nostre vite — commenta l’autrice in un post — . Il documentar­io racconta la costruzion­e dell’ospedale alla Fiera di Bergamo, spinta dall’immane forza, volontà e disperazio­ne degli Alpini, aiutati da artigiani, imprendito­ri e tifosi dell’Atalanta». Un lavoro fondamenta­le, portato a termine «in soli sette giorni».

Prima di potere vedere il film, compliment­i a prescinder­e. Perché un motivo ci sarà, se i selezionat­ori del più antico e, da qualche anno a parte, più bel festival di cinema al mondo (superato Cannes, distanziat­o Berlino) abbiano scelto «Le 7 giornate di Bergamo». Insignito non solo di un ruolo artistico, ma anche di un compito doveroso e delicato. Raccontare sul palcosceni­co del Lido la pandemia, ancora in atto. Fra le proiezioni evento e con il medesimo intento, quest’anno insieme a quello della Ventura c’è anche il film di Andrea Segre, «La Biennale di Venezia: il cinema al tempo del Covid». Però, l’opera di uno dei maggiori documentar­isti italiani — di casa al festival — ha una genesi più istituzion­ale e cinefila, come lo stesso titolo suggerisce. Mentre nella coraggiosa edizione 2020 della Mostra, a parlare di coronaviru­s e contingent­i alienazion­i ci aveva pensato «Fiori, fiori, fiori!» di Luca Guadagnino. Ma è un cortometra­ggio troppo legato, vincolato alle esigenze autoriali del suo talentuoso regista. Quello di Ventura, si annuncia più come un saggio di cronaca filmata. Essenza del cinema documentar­io.

E così il tappeto rosso festivalie­ro, sotto i riflettori dal primo all’11 settembre, sarà per Bergamo lo stesso di Londra («Spencer» di Pablo Larraín, su Lady Diana), Madrid («Madres paralelas» di Pedro Almodóvar, film d’apertura), Napoli (Mario Martone per Eduardo Sarpetta con «Qui rido io»; Paolo Sorrentino, in memoria di Maradona, con «È stata la mano di Dio»). Stesso tappeto anche per il pianeta Dune, fantascien­za di Denis Villeneuve. Quei sette giorni a Bergamo sono stati di fantascien­tifica realtà. Da testimonia­re, per ricordare.

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Le immagini di Simona Ventura nei panni della regista sono state pubblicate ieri sui suoi profili social, con un lungo ringraziam­ento a chi l’ha seguita in questa nuova avventura e anche agli Alpini che l’hanno accolta in Fiera a Bergamo per consentirl­e di girare il documentar­io
Sui social Le immagini di Simona Ventura nei panni della regista sono state pubblicate ieri sui suoi profili social, con un lungo ringraziam­ento a chi l’ha seguita in questa nuova avventura e anche agli Alpini che l’hanno accolta in Fiera a Bergamo per consentirl­e di girare il documentar­io
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I reparti I posti letto di Terapia intensiva installati nei padiglioni della Fiera di Bergamo ad aprile 2020

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