Le sculture recuperate
In Piazza della Scala e dintorni la statua dedicata a Giulio Ricordi riemersa da un cortile periferico e il Disco di Arnaldo Pomodoro inseguito e voluto da Carlo Tognoli
Cinque anni fa Giulio Ricordi è finalmente tornato a casa. Era nascosto in un cortile di via Salomone, una fine di certo non gloriosa per chi, come lui, era abituato alle luci del palcoscenico milanese. Casa, per Ricordi, era piazza della Scala, dove si affacciavano le vetrine del suo impero e dove c’era (e c’è tutt’ora) il Casino Ricordi. Oggi, seduto in poltrona, sorride lì davanti, nel minuscolo slargo a fianco del teatro chiamato largo Ghiringhelli, che però per l’editore musicale che portò l’azienda di famiglia all’apice del successo e della fama pubblicando le opere di Verdi e Puccini, rimarrà per sempre piazza della Scala.
Come mai l’oblio al limite della città? Alla sua morte, nel 1912, un comitato di amici (fra cui lo stesso Puccini e Arrigo Boito) si fa promotore di una sottoscrizione per una statua in suo ricordo, poi commissionata a Luigi Secchi. «Secchi è uno degli scultori più illustri del momento, ha appena terminato il monumento di Giuseppe Parini, è la spalla artistica dell’architetto Luca Beltrami che gli ha affidato la statua di Sant’Ambrogio e il bassorilievo di Umberto I per la Torre del Filarete», racconta Giorgio Zanchetti, docente di Storia dell’Arte Contemporanea dell’Università Statale. «L’artista scolpisce nel marmo bianco una figura seduta, in una posa molto naturale, affatto celebrativa. Destinata alla sede di via Berchet della Ricordi, migrerà poi nello stabilimento di viale Campania e infine negli uffici di via Salomone, per giacere semi abbandonata fino al recente accordo fra Archivio Storico, eredi e Comune che l’ha consegnata alla città e resa visibile».
Anche il «Grande Disco» di Arnaldo Pomodoro — vicino di Giulio Ricordi, è in piazza Meda —, ha una partenza in salita. Datato 1972, dopo le prime esposizioni di successo, è una delle opere pubbliche del maestro più amate, approda nel 1975 nella piazza Ducale di Vigevano. Ed è subito polemica. «Giudicata troppo moderna per il contorno medievale, durerà solo tre anni», racconta Zanchetti. A questo punto si fa avanti Milano. «L’allora sindaco Carlo Tognoli non vuole farselo sfuggire, due analoghi esemplari sono già volati via, in North Carolina e a Caracas, e questa, che è la prova d’artista, deve restare». Tognoli riesce nell’intento, e a novembre del 1980 il meraviglioso disco di bronzo che evoca la luce solare (e si infiamma mandando bagliori quando colpito dai raggi) plana nell’aiuola centrale di piazza Meda. «I cinque raggi rivelano che è stata disegnata pensando all’uomo vitruviano di Leonardo, in realtà ognuno può vederci quello che desidera: disco volante, pianta di una città rinascimentale, ruota», spiega il docente. «Pomodoro pensa a una revisione della forma astratta perfetta, pulita, alla Brancusi, e nasce così l’idea della rottura della superficie lucida, liscia, e nella sfera a due facce viene inserito l’ingranaggio meccanico». Il consiglio? Non accontentarsi di osservarlo da un solo lato, sul davanti o da dietro, ma girargli intorno. Una danza lenta che aiuterà a cogliere i particolari e svelerà come il «Grande Disco» sappia catturare la luce.