Una suite nel nome di Bowie
«Quattro pezzi suoi e quattro miei per onorare un artista che amavo da ragazzo»
L’8 gennaio 2016, due giorni prima di andarsene, David Bowie consegnava al mondo «Blackstar», un album considerato il testamento musicale del «Duca Bianco». Giovanni Falzone, 47enne trombettista siciliano, ideatore di ensemble più o meno allargati e artista che ha abituato i suoi ascoltatori a spericolate contaminazioni, stasera riparte proprio da lì, con una «suite» che decompone e rilegge quel lascito musicale così eclettico sul palco dell’Estate Sforzesca.
«Da ragazzo», spiega Falzone, «ammiravo molto il Bowie artista, innovatore visionario, eccentrico. Poi, crescendo, passando dalla musica classica al jazz, non l’ho più seguito molto. “Blackstar”, mi ha fatto riscoprire quell’amore giovanile, perché è stato un disco concepito per musicisti della scena del jazz, scelti appositamente da Bowie per il loro sound. Inoltre, mi ha profondamente colpito la storia personale che ha accompagnato l’uscita dell’album, la consapevolezza della fine, di un artista che ha scelto di lasciarci in questo modo».
L’audace compositore (e anche direttore d’orchestra), nato a Lippstadt, in Germania, e cresciuto ad Aragona, in provincia di Agrigento, nel 2019 aveva già presentato la sua «Blackstar suite» con l’Orchestra sinfonica Giuseppe Verdi, mentre questa volta sarà accompagnato per l’occasione dalle Mosche Elettriche, un trio pieno di energia formato da Valerio Scrignoli alla chitarra elettrica, William Nicastro al basso elettrico e Riccardo Tosi alla batteria. «È il mio gruppo più longevo», dice, «il più flessibile e maneggevole. Quello con cui posso infilare con più facilità il rock nel jazz. Del resto, come tutti quelli della mia generazione, sono cresciuto con il rock di Jimi Hendrix e dei Led Zeppelin, poi sono passato al Conservatorio e infine ho scoperto Louis Armstrong, Miles Davis e Booker Little, i tre trombettisti che sintetizzano il mio stile musicale. La scelta del quartetto parte dalla volontà di approfondire l’indagine attorno alle sonorità elettriche in tutte le sue sfaccettature. Utilizzare questo tipo di organico, storicamente inteso come il più «classico» delle formazioni, è stato un punto di partenza molto stimolante per architettare un lavoro di ricerca compositiva, in cui ho cercato di miscelare il jazz, la classica contemporanea e il rock, con tutte le forme di scrittura e improvvisazione che si sono avvicendate nel secolo scorso, con una forte componente ritmica».
La scaletta del concerto è strutturata come un concept dal vivo. «Ci sono quattro brani del disco di Bowie, “Blackstar”, “Lazarus”, “Sue (or in a season of crime)”, e “Girl loves me”, insieme a quattro composti da me, e ne è uscita una sorta di suite di otto movimenti. I miei brani sono ovviamente ispirati alle sonorità e allo spirito creativo dell’opera. Ad esempio, il pezzo “Occhi diversi” si riferisce agli occhi bicolore di Bowie, ma anche, metaforicamente, a come qualsiasi cosa può essere rivalutata quando e se, a distanza di tempo, si guarda con occhi, appunto, diversi».
Il gruppo «Mi affianca il trio delle Mosche Elettriche con cui posso infilare con facilità il rock nel jazz»