Corriere della Sera (Bergamo)

Un Achab-Lear contro la balena

Debutta stasera «Moby Dick alla prova» di Orson Welles Elio De Capitani imbarca la sua «ciurma» in uno spettacolo politico e visionario

- Livia Grossi

«Il “Moby Dick alla prova” di Orson Welles è una straordina­ria sintesi del romanzo di Herman Melville, un blank verse shakespear­iano che sa parlarci del ‘900». Elio De Capitani è pronto per la nuova sfida, una grande prova d’attore in cui il capitano Achab affiancato da una «ciurma» di dieci attori doc affronta l’opera sconosciut­a ai palcosceni­ci italiani. Uno spettacolo fatto di versi densi di significat­o, ma anche corpo, musica dal vivo e canto. «Credo sia il testo più significat­ivo per continuare il discorso che qui all’Elfo abbiamo intrapreso sugli Stati Uniti», dichiara De Capitani, «un capolavoro rifiutato dalla società americana: Melville nel 1851 pubblica “Moby Dick”, un tale fallimento che lo farà smettere di scrivere. Un secolo dopo Orson Welles propone l’opera in versi, a Londra fu un trionfo, in Usa un flop: Achab a New York parlava troppo chiaro e gli americani non lo volevano sentire. Il suo è un Melville rivisto con gli occhi del ‘900, nel 1955, 10 anni dopo il terrore del nazismo, qui il capitano dopo la prima battaglia contro la balena bianca, con una gamba ridotta a un osso, si scaglia contro gli dèi: “Quello che ho osato l’ho voluto e quello che ho voluto l’ho fatto! Sorvolando precipizi senza fondo, frugando il cuore rugoso delle montagne, o nascosto sotto il corso dei torrenti io vado avanti, senza sosta, senza errore”. In questa parole c’è tutta l’America e il pubblico lo sapeva».

Ma l’opera di Welles non è solo una riduzione in versi delle pagine di Melvill. Per affrontare la sfida di mettere in scena il romanzo, il visionario autore introduce la figura di un impresario teatrale che sta provando il “Re Lear” di Shakespear­e, un’opera che ogni sera il capocomico cerca di boicottare tentando di convincere la compagnia a seguirlo in una nuova avventura. Un Re Lear-Achab dove la personalit­à dei due è messa a confronto. «Re Lear durante la tempesta ha il tempo di fare i conti con la vita, Achab invece quando sente il rimorso di aver abbandonat­o moglie e figli per la sua folle impresa non cambia rotta, appena vede il capodoglio riparte con la sua furiosa caccia, alla fine riuscirà ad ucciderlo ma perderà tutto, sarà un disastro totale».

Anche l’idea del nemico distingue i due personaggi: «se Re Lear dice “vecchio guardati da te stesso”, per il capitano è la balena bianca il simbolo di ogni male. E qui Melville ha un’intuizione geniale, in un capitolo ci racconta l’altruismo di questi mammiferi, pagine ecologiste che sembrano scritte oggi». Tra le riflession­i che ci portano ai nostri giorni De Capitani ne aggiunge un’altra dal sapore politico. «Nella versione italiana il gioco di parole tra capodoglio e Campidogli­o è immediata, dunque ci siamo divertiti a immaginare questo ridicolo Achab che aizza l’equipaggio a dare l’assalto al Palazzo. Nessuna attualizza­zione, è solo il pensiero lungo di Welles che arriva fino ad oggi».

Infine sul palco in quella «Pequod in attesa» dove l’acciaio domina la scena (“niente a che fare con la marineria dell’800, piuttosto con l’idea che si cela in quella baleniera»), l’ ultima sfida, mostrare la grande «protagonis­ta»: «Non potevo certo avere una balena vera né usare dei video, abbiamo fatto tante prove tecniche fino a quando Moby Dick è apparsa. Non vi svelo nulla, posso solo dire che ce l’abbiamo fatta!».

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Epopea americana Elio De Capitani (al centro) in una scena dello spettacolo che debutta in prima nazionale

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