Le confessioni di un assassino
«La cena in Emmaus» dialoga con il «David con la testa di Golia» Senso di colpa, maniera e luce in due opere emblematiche del Caravaggio in fuga
Imperdibile da oggi, il IX Dialogo, nuovo capitolo di quelle mostre che dal 2016 accostano quadri della Pinacoteca di Brera ad «ospiti» da altri musei: Caravaggio a tu per tu con la propria coscienza di assassino. «La cena in Emmaus» fianco a fianco con il «David con la testa di Golia» della Galleria Borghese di Roma. Il colpo d’occhio è emozionante perché i due quadri baluginano nella stessa aria cupa. È il momento in cui il pittore omicida fugge da Roma inseguito da una condanna a morte per aver ucciso Ranuccio Tommasoni. Era il 28 maggio 1606 e da quel momento la vita di Caravaggio precipita nella tragedia.
È un uomo braccato. Si rifugia nei feudi di Paliano del cardinale Ascanio Colonna, fratello della marchesa di Caravaggio, ma anche lì non è al sicuro e soprattutto, per un artista ambizioso come lui, abbandonare il palcoscenico di Roma è una retrocessione verso una scena di serie B se non C. La sua pittura cambia: assume toni scuri, l’impasto del colore è più sottile, la stesura veloce, con dettagli «non finiti» e il ricorso al fondo scuro della preparazione sottostante come chi va di fretta e ha poco tempo. «La Cena in Emmaus», commissionata già prima della fuga da Roma dai marchesi Patrizi e rimasta in casa degli eredi fino all’acquisto da parte degli Amici di Brera nel 1939, dà inizio a questa maniera che diventerà sostanziale a tutta la successiva produzione. Il cambiamento è infatti prima di tutto interiore: Caravaggio capisce che il destino di un assassino si lega per sempre a quello della sua vittima ed esprime questo sentimento nell’incredibile «David con la testa di Golia» della galleria Borghese. Nel quadro più intimo di tutta la sua vita, il pittore si identifica in entrambi i combattenti: vittima e carnefice. Il proprio ritratto nella testa mozzata del gigante grondante sangue rivela l’angoscia di vivere con un bando capitale sul proprio capo; ma la melanconia dell’alter ego David (con il volto del servo Cecco) racconta la sconfitta morale di un eroe assassino. Mai prima si era vista una rappresentazione così tragica di quella storia biblica che avrebbe dovuto celebrare il trionfo del giovane guerriero.
E dunque ecco la ragione del «Dialogo»: da anni la critica si confronta sulla data della tela: fu eseguita anch’essa nel 1606 come la «Cena in Emmaus» di Brera, oppure nel 1609 durante il secondo soggiorno napoletano? O ancora, come vogliono gli ultimi studi, l’esecuzione va anticipata al 1606 / 1607, fra la fuga da Roma e il primo viaggio a Napoli? Il quadro era probabilmente il pegno inviato a Scipione Borghese, il cardinale nipote del papa, con lo scopo di ottenere la grazia come indicherebbe anche la scritta sulla spada: «H-AS-OS», humilitas occidit superbiam. Insomma un’immagine di autodecapitazione che implora il perdono.