Linguaggio senza tempo
Il curatore: «Il lavoro di Grazia Varisco riesce a ispirare i giovani»
«Regola e caso; gioco e costanza. E soprattutto passione», così Marco Meneguzzo, il curatore dell’ampia antologica che Palazzo Reale dedica da oggi al 16 settembre a Grazia Varisco, sintetizza il percorso dell’85enne artista milanese. A partire dai primissimi lavori del 1957, oltre 150 opere proposte in ordine cronologico (peccato il colore ospedaliero scelto per le pareti) raccontano una carriera all’insegna della ricerca e del sorriso che non è mai mancato sul volto della Varisco, come si vede nelle fotografie storiche di ogni sezione. Gli studi all’Accademia di Brera allieva di Achille Funi e Guido Ballo; la militanza dal 1960 nel gruppo T dove è l’unica donna; le mostre di arte programmata e quelle del movimento internazionale Nouvelle Tendance, e poi l’attività autonoma con la partecipazione a rassegne nazionali e internazionali: Varisco ha svolto un lavoro enorme (non vanno dimenticati gli anni di insegnamento a Brera), anche se spesso defilato rispetto a quello di molti colleghi maschi.
E tuttavia, sulla lunga distanza, ha finito per raccogliere i riconoscimenti che meritava, come dimostra anche questa prestigiosa esposizione che arriva dopo quella del 2012 alla Permanente e l’omaggio di rara bellezza dedicatole dalla Triennale nel 2017 in occasione degli 80 anni dell’artista. Il suo è un lavoro che riesce ancora a ispirare i giovani, come spiega Meneche
«Nell’arte non ci sono salti e il linguaggio di Grazia, anche quello di sessant’anni fa, sta mandando avanti le sue connessioni nervose in un terreno vivo e contemporaneo».
Una vita artistica straordinaria cominciata con l’apprendimento della tecnica dell’affresco, subito abbandonata per il percorso d’avanguardia del gruppo T e l’idea di superare sia la figura che l’offerta ormai satura di arte informale, alla ricerca di qualcosa che sapesse soprattutto interagire con il pubblico. È così che nacquero le prime tavole magnetiche dove triangoli, tondi, rette possono essere spostati a piacere dal pubblico il quale partecipa alla creazione dell’opera.
Quel gruppo di ragazzi non poteva non piacere a Bruno Munari che riconosceva in loro il suo stesso approccio giocoso all’arte e li coinvolse nei progetti dell’Olivetti. Ma anche Lucio Fontana li notò e per loro scrisse l’introduzione della prima mostra a Roma, nel 1961. «Sono stati anni irripetibili anche se allora non ne avevamo coscienza», ricorda Varisco. «Tutto avveniva con semplicità e naturalezza. Anguzzo:
l’incontro con quei geni, che erano alla mano. Eravamo molto concentrati e anche se il lavoro di artisti non bastava per mantenerci, andavamo avanti perché lo sentivamo irrinunciabile».
Di questa mostra, però, apprezza soprattutto il fatto che riesca a spostare l’attenzione alle esperienze più recenti, dopo quel periodo cinetico con il quale l’artista viene sempre identificata: «Finalmente una Grazia Varisco che ha i suoi 85 anni», commenta soddisfatta.