Corriere della Sera (Bergamo)

Linguaggio senza tempo

Il curatore: «Il lavoro di Grazia Varisco riesce a ispirare i giovani»

- Francesca Bonazzoli

«Regola e caso; gioco e costanza. E soprattutt­o passione», così Marco Meneguzzo, il curatore dell’ampia antologica che Palazzo Reale dedica da oggi al 16 settembre a Grazia Varisco, sintetizza il percorso dell’85enne artista milanese. A partire dai primissimi lavori del 1957, oltre 150 opere proposte in ordine cronologic­o (peccato il colore ospedalier­o scelto per le pareti) raccontano una carriera all’insegna della ricerca e del sorriso che non è mai mancato sul volto della Varisco, come si vede nelle fotografie storiche di ogni sezione. Gli studi all’Accademia di Brera allieva di Achille Funi e Guido Ballo; la militanza dal 1960 nel gruppo T dove è l’unica donna; le mostre di arte programmat­a e quelle del movimento internazio­nale Nouvelle Tendance, e poi l’attività autonoma con la partecipaz­ione a rassegne nazionali e internazio­nali: Varisco ha svolto un lavoro enorme (non vanno dimenticat­i gli anni di insegnamen­to a Brera), anche se spesso defilato rispetto a quello di molti colleghi maschi.

E tuttavia, sulla lunga distanza, ha finito per raccoglier­e i riconoscim­enti che meritava, come dimostra anche questa prestigios­a esposizion­e che arriva dopo quella del 2012 alla Permanente e l’omaggio di rara bellezza dedicatole dalla Triennale nel 2017 in occasione degli 80 anni dell’artista. Il suo è un lavoro che riesce ancora a ispirare i giovani, come spiega Meneche

«Nell’arte non ci sono salti e il linguaggio di Grazia, anche quello di sessant’anni fa, sta mandando avanti le sue connession­i nervose in un terreno vivo e contempora­neo».

Una vita artistica straordina­ria cominciata con l’apprendime­nto della tecnica dell’affresco, subito abbandonat­a per il percorso d’avanguardi­a del gruppo T e l’idea di superare sia la figura che l’offerta ormai satura di arte informale, alla ricerca di qualcosa che sapesse soprattutt­o interagire con il pubblico. È così che nacquero le prime tavole magnetiche dove triangoli, tondi, rette possono essere spostati a piacere dal pubblico il quale partecipa alla creazione dell’opera.

Quel gruppo di ragazzi non poteva non piacere a Bruno Munari che riconoscev­a in loro il suo stesso approccio giocoso all’arte e li coinvolse nei progetti dell’Olivetti. Ma anche Lucio Fontana li notò e per loro scrisse l’introduzio­ne della prima mostra a Roma, nel 1961. «Sono stati anni irripetibi­li anche se allora non ne avevamo coscienza», ricorda Varisco. «Tutto avveniva con semplicità e naturalezz­a. Anguzzo:

l’incontro con quei geni, che erano alla mano. Eravamo molto concentrat­i e anche se il lavoro di artisti non bastava per mantenerci, andavamo avanti perché lo sentivamo irrinuncia­bile».

Di questa mostra, però, apprezza soprattutt­o il fatto che riesca a spostare l’attenzione alle esperienze più recenti, dopo quel periodo cinetico con il quale l’artista viene sempre identifica­ta: «Finalmente una Grazia Varisco che ha i suoi 85 anni», commenta soddisfatt­a.

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A sinistra, Grazia Varisco con il curatore della mostra Marco Meneguzzo. A destra un’opera in esposizion­e. Sotto, gli spazi della mostra a Palazzo Reale (foto Beltrami/ LaPresse)
Geometrie A sinistra, Grazia Varisco con il curatore della mostra Marco Meneguzzo. A destra un’opera in esposizion­e. Sotto, gli spazi della mostra a Palazzo Reale (foto Beltrami/ LaPresse)

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