Lo stile libero di Toscani
Palazzo Reale tappezzato con quasi 900 scatti «scandalosi» «Oggi la reporter più importante è Chiara Ferragni perché usa meglio di tutti la fotografia come mezzo di comunicazione»
Quasi 900 fotografie esposte nelle stanze al piano terra di Palazzo Reale senza chiodi né cornici, ma attaccate sui muri come fossero affissioni di strada. L’antologica che Milano dedica al fotografo Oliviero Toscani, uno dei suoi cittadini più illustri, si può leggere anche come un risarcimento rispetto ai tempi in cui l’amministrazione comunale toglieva dalla piazza del Duomo i manifesti con le sue foto perché scandalosi. Sono decenni che Toscani fa parlare di sé, non solo perché il suo sguardo invita a guardare fuori dagli schemi, ma anche perché è tanta l’invidia nei confronti di un successo così internazionale e popolare. «Se non ho fatto scandalo con un’immagine, vuol dire che non sono stato bravo. Sono gli altri che si scandalizzano per paura di cambiare le proprie opinioni, ribadisce.
Nel percorso espositivo le immagini compongono grandi collage senza ordine: «Non esistono foto di moda, di architettura o di cronaca, bensì situazioni che fotografo da testimone del mio tempo», spiega. Figlio di Fedele, primo fotoreporter del «Corriere della Sera», Oliviero ha studiato fotografia e grafica all’Università delle Arti di Zurigo e dopo aver creato rivoluzionarie campagne pubblicitarie di grandi marchi internazionali (oggi quelli della moda più elitaria le copiano scegliendo modelli «brutti» come Toscani aveva già fatto decenni fa anche con bambini down per dire che tutti sono alla moda e che non è il fashion system a stabilire i canoni della bellezza); dopo le campagne di impegno sociale, dall’Aids all’anoressia; dopo progetti editoriali e premi; dopo aver ribaltato il vecchio mondo della comunicazione, Toscani rivela che per fare foto non bisogna essere innamorati della tecnica né andare in cerca di idee: «Se le cerchi vuol dire che non ne hai. Siamo tutti fotografi per il solo fatto che abbiamo gli occhi, analizziamo, scegliamo. La fotografia ormai è un’arte di tutti, come la scrittura appartiene all’espressione dell’umanità».
Così come tutti gli essere umani sono fotomodelli: «Non mi interessano quelli che si mettono in posa. Ho fotografato decine di migliaia di persone sconosciute nel mondo, ma non faccio ritratti, sono loro che mi fotografano: chiedo di guardarmi e capire chi sono e alla fine vengono fuori immagini inquisitorie che a loro volta scrutano chi le guarda mettendolo a disagio».
Sulle orme del padre, ha cominciato nel ’65 con i reportage, ma si è subito reso conto che l’attualità andava cercata nei cambiamenti degli stili di vita, come per esempio nelle minigonne. «Se fai il fotografo di cronaca o di guerra arrivi e trovi già tutto pronto: la scena con il morto, il sangue, le armi. Devi solo essere lì in tempo e avere un giubbotto antiproiettile. Ecco perché fanno tutti foto banali. Dagli anni ’60 il reportage è andato in crisi per la concorrenza della televisione e il compiacimento estetico. I tempi sono cambiati e forse la fotoreporter più importante di oggi è Chiara Ferragni perché usa meglio di tutti la fotografia come mezzo di comunicazione».