Il presepio è un’enciclopedia
Non solo Sacra Famiglia. Tra i pastori e le popolane ci sono personaggi-simbolo arrivati anche a teatro. Gelindo, Pannicelli: all’Ambrosiana un viaggio tra le loro storie
Ha fretta: «L’è méj andè». L’imperatore Cesare Augusto impone il censimento e lui si vuole presentare. Parte dalle Langhe, lo ritroviamo a Betlemme. Quella del piemontese Gelindo è una delle storie dentro la storia dei presepi: se il quadro va oltre il ristretto gruppo della Sacra Famiglia lui non manca (quasi) mai. Gelindo è il pastore con l’agnello sulle spalle: si narra sia il primo a presentarsi alla mangiatoia. Un comprimario con vita propria — tracce di lui in documenti secenteschi, Gelindo, ovvero la Natività e la strage degli innocenti è un testo teatrale popolare diffusissimo fino a metà del secolo scorso — capace di varcare i confini regionali: spunta nei presepi della tradizione a stampa milanese, in quelli a gesso delle valli lombarde, tra sontuosi allestimenti napoletani. È pasticcione e smemorato: si imbatte in Maria e Giuseppe per caso, mentre i due vagano perché le locande li hanno rimbalzati. «Vi aiuto». Ed eccolo con loro, emblema di generosità. «Il presepio è un racconto corale e dietro molte figure di contorno ci sono leggende e simboli: ispirano maestri come il Londonio o le botteghe artigiane, attivissime dal Settecento al 1940 circa, quando l’avvento delle statue in plastica le mette in crisi», racconta Barbara Crivellari, storica dell’arte e curatrice del Museo del presepio di Dalmine, nella Bergamasca. Con i suoi 900 pezzi da tutto il mondo, è uno scrigno come pochi in Italia: da qui arrivano gli 11 che la Pinacoteca Ambrosiana presenta da oggi, in un allestimento in cui la creatività popolare dialoga con capolavori della pittura. Presepi composti tra fine Ottocento e inizi Novecento, fatti a teatrino, girevoli, con «fogli da ritaglio» o in gesso (tipici della Lombardia). Tanti e diversi ma in cui — fateci caso — ricorrono spesso figure meno «famose» e con significati peculiari. Gelindo, dunque. Eccolo, vicino alla Sacra Famiglia («O almeno così avviene solitamente»). Agli antipodi c’è Benino, il pastore addormentato. Metaforicamente, ricorda Crivellari, «è il genere umano che prima della nascita di Gesù era assopito». Lui è rigorosamente lontano dalla grotta, «come coloro che, nelle scritture, vengono svegliati dagli angeli». Altra comparsa non casuale: la donna con i panni bianchi. «La quarta lettera di Santa Chiara a Sant’Agnese di Praga ispira gli artisti: “Mira, in alto, la povertà di Colui che fu deposto nel presepe avvolto in poveri pannicelli». La signora è la Pannicelli: porta le fasce a Gesù. Di asino e bue dicono i libri dei profeti, «in particolare Isaia (1,3). L’asino rappresenterebbe i pagani che gemono sotto la soma dell’idolatria e il bue gli ebrei che portano il giogo della legge. Entrambi si rivolgono al Salvatore deposto dove sono soliti mangiare: è il loro nutrimento». I musicisti, soprattutto al Nord muniti di zufoli o strumenti a corda, a Sud anche con percussioni, «sono i cerimonieri dell’avvenuta profezia evangelica». I paesaggi? Metafore pure loro. La taverna non è solo pittoresca: «Richiama la peregrinazione di Maria e Giuseppe allontanati dalle locande, è popolata da un’umanità disattenta e godereccia».
Dalla pinacoteca spiegano che l’allestimento nasce come «contributo alla riscoperta dell’incanto dei presepi, parte significativa della tradizione cattolica. Un patrimonio artistico e culturale negli ultimi anni rivalutato da ricercatori e collezionisti». Enciclopedie di storie che non si finisce mai di scoprire. Gelindo insegna.