Corriere della Sera (Bergamo)

LE COLPE DELL’ITALIA

- Di Gigi Riva

Quella della Cassazione francese che ha negato l’estradizio­ne per dieci ex terroristi italiani, tra cui il bergamasco Narciso Manenti, è una sentenza annunciata. Non poteva andare diversamen­te dopo il rifiuto già espresso dalla Chambre de l’Instructio­n e una giurisprud­enza costante. Gli argomenti più solidi dei magistrati parigini fanno riferiment­o agli articoli 6 e 8 della Convenzion­e europea. Tradotto: sono trascorsi decenni, gli imputati sono persone diverse, hanno moglie e figli, non hanno più commesso delitti, sono anziani, l’Italia vuole vendetta non giustizia. Perché si è perso tanto tempo? Delle colpe francesi si sa. Durante e dopo gli anni di piombo si era diffusa l’idea, propaganda­ta da diversi intellettu­ali tra cui si distinse BernardHen­ry Lévy, che l’Italia avesse adottato leggi da dittatura sudamerica­na, e che i rifugiati fossero dei «perseguita­ti». Alcune differenze dei codici penali fecero il resto, Oltralpe non è prevista la condanna in contumacia, né sono sufficient­i per un verdetto le dichiarazi­oni dei pentiti. Ci sono stati, tuttavia, errori italiani altrettant­o marchiani. La famosa «dottrina Mitterrand», che dava protezione agli ex terroristi, ha avuto almeno un altro padre in Bettino Craxi. Stando alla ricostruzi­one di storici e di testimoni oculari dell’incontro tra i due leader fu l’italiano a chiedere al francese di tenerseli perché temeva il rientro di personaggi scomodi. Sebbene Mitterrand avesse escluso dai benefici chi si era macchiato di sangue, quel paletto fu ben presto travolto da un’interpreta­zione estensiva della «dottrina».

In seguito il potere esecutivo italiano mai si impegnò perché fossero rispettate le nostre sentenze almeno fino al governo Berlusconi II. I dossier furono riaperti. Ma le procure furono assai timide nell’inviare richieste di estradizio­ne spesso lacunose. Valga per tutti l’articolo su queste pagine di Giuliana Ubbiali (I luglio 2022), che raccolse il racconto di Mauro Porta, un poliziotto che nel 2016, su sollecitaz­ione dell’allora procurator­e Walter Mapelli, rispolverò il fascicolo su Narciso Manenti: era fermo al 1987! Errori. Ritardi. Ipocrisie. Invasione di campo tra politica e giustizia. Anche da parte italiana. Più che deprecare quest’ultimo esito sarebbe più opportuno rammaricar­si del tempo perduto in calcoli opportunis­tici che hanno prodotto l’obbrobrio di una vicenda lunga una vita. Quanto ai parenti delle vittime, a questo punto c’è solo un risarcimen­to possibile. Che, pur senza andare in carcere, i condannati confessino una verità largamente postuma ma pur sempre una verità.

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