L’ex candidato vittima del pizzo L’appello conferma le condanne
Anesa e le estorsioni al bar, pene ridotte di poco a moglie e marito
Qualche giorno fa, Nicholas Anesa ha raccontato la sua esperienza di papà gay, che da Londra osserva l’Italia adesso che il governo Meloni ha bloccato la trascrizione dei certificati di nascita dei figli di coppie dello stesso sesso.
Ma l’ex candidato sindaco del M5S (lo fu nel 2019) più di tre anni e mezzo fa si trasferì in Gran Bretagna non solo per garantire maggiori diritti alla sua famiglia. Lo fece anche per lasciarsi alle spalle una vicenda, a suo dire, traumatica, sfociata in un processo per estorsione di cui è parte offesa. Ne aveva parlato ad aprile 2022, dopo le condanne di primo grado. Ora, arriva la sentenza di appello, che sostanzialmente è una conferma. Per Medardo Marras, di Pomezia e per un periodo con affari al Nord, e la compagna Rosa Gota Lestingi c’è un leggero sconto di pena, a 6 anni (da 8 anni e 2 mesi per lui e da 7 anni e mezzo per lei). Resta di 4 anni e 6 mesi per il figlio Gian Medardo Marras. La Procura generale aveva chiesto di replicare il primo verdetto, l’avvocato Davide De Caprio, che assiste tutta la famiglia, l’assoluzione, convinto, come già aveva sostenuto in aula a Bergamo, che non ci sia mai stata alcuna intimidazione, nessuna richiesta di «pizzo». Il pm titolare dell’indagine Laura Cocucci aveva utilizzato proprio questa espressione.
La vicenda ruotava intorno al bar Dolce Vita di via Borgo Palazzo, dove Anesa, oggi 35enne, era stato assunto nel 2012 tramite la cognata degli imputati, sua amica. Nel 2015, il Tribunale di Roma dispose il sequestro dei beni dei Marras
per 3 milioni e mezzo di euro, una misura di prevenzione legata a un’accusa di narcotraffico (cocaina da Santo Domingo), per la quale successivamente fu assolto. «Sono tutti incensurati», torna a rimarcare l’avvocato De Caprio, che, sempre durante il primo processo, aveva ricordato il dissequestro da film di 500 mila euro che furono trovati al suo assistito in contanti: «Alle Poste Centrali di Roma c’ero io a contarli, ce li riconsegnarono con un portavalori». Tra i beni sequestrati e poi confiscati c’era anche il bar di Borgo Palazzo, che i giudici affidarono ad Anesa. Da quel momento, per l’accusa, era iniziato il pressing: i Marras volevano continuare ad avere voce in capitolo, pretendevano denaro. «Dobbiamo mettergli il ferro in bocca», dice Medardo intercettato. E il figlio: «Non è meglio massacrarlo di botte?». D’accordo con i carabinieri, l’11 febbraio 2016 Anesa incontrò Lestingi, che subito dopo venne arrestata: nella borsa aveva una busta con 500 euro. Finì in carcere solo per qualche giorno, ma ormai l’indagine era chiusa. «Leggeremo le motivazioni (entro 90 giorni, ndr), di sicuro faremo ricorso in Cassazione», dichiara l’avvocato De Caprio. (mad.ber.)