Bugno, Chiappucci e il nemico Indurain «Nel nostro ciclismo vinceva l’istinto»
«Oggi abbiamo tutto, ma mancano i campioni, ai nostri tempi il ciclismo era più bello». A stringere i microfoni con le mani callose per i manubri stretti nelle scalate, i due monumenti del ciclismo Gianni Bugno e Claudio Chiappucci, ospiti applauditissimi al Victoria Park di Brembate per il Time Out Sport Festival. Il primo, campione del mondo su strada nel 1991 e nel 1992, 9 vittorie di tappa al Giro d’Italia, il secondo, «El Diablo», professionista dal 1985 al 1998, maglia a pois al Tour de France come miglior scalatore (1991, 1992) e maglia verde al Giro d’Italia (1990, 1992, 1993). «Abbiamo partecipato alle stesse gare fin da dilettanti ma non abbiamo mai litigato, invidia sì ma era una buona rivalità», confidano a Giorgio Brambilla, ex ciclista che oggi conduce il canale web GNC Italia. Più che nemici tra loro, Bugno e Chiappucci ne avevano uno comune: lo spagnolo Miguel Indurain, senza il quale «avremmo vinto giri e tour, ma la cronometro sarebbe stata comunque impossibile, a meno che fosse corta come oggi». Negli ultimi trent’anni è cambiato tanto il ciclismo eppure, nonostante tutte le nuove facilitazioni, nessuno dei due farebbe a cambio con il loro periodo: «Oggi il corridore ha il preparatore, il nutrizionista, il procuratore, invece allora facevamo tutto noi, sulle ammiraglie non c’erano le tv e la corsa la gestivamo noi», ricorda Bugno, e Chiappucci aggiunge «oggi c’è tanta programmazione ma poi non si conosce davvero l’atleta, noi invece dovevamo capire dalle smorfie del ciclista se stava bene o male e quando attaccarlo, era più sensazione e istinto». Altro che stand a riparare dalla pioggia alla partenza, altro che auto a caricarli a fine giro per i trasferimenti in hotel, negli anni 80’ e ’90 dopo sette ore di corsa, magari con una nevicata al Gavia, si doveva arrivare in bici anche all’albergo e senza Google Maps sul telefono. «Noi avevamo massimo un pulmino per un caffè e un paio di miss, aumentate nel 1993 con l’arrivo di Mediaset». I giovani atleti in platea vogliono conoscere tutti i trucchi del mestiere, ma alla fine l’insegnamento si riduce a uno: «Servono tanti sacrifici, mai bruciare le tappe», dice Chiappucci, che ha acquisito caparbietà dopo l’incidente al Giro di Svizzera in cui ha rotto clavicola e piede, «per vincere devi saper perdere e spesso molti giovani non vogliono rischiare», rincara Bugno. Per i due atleti, per far nascere nuovi campioni in Italia serve un cambio di mentalità, aumentando le ore di educazione fisica nelle scuole, dando più risalto ai Giri in prima pagina, non solo quando accadono disgrazie. Gli incidenti sono in aumento, ad oggi più di 50 fratturati tra i professionisti che rischiano di compromettere la prossima Olimpiade, a detta di Bugno per la troppa irruenza, secondo Chiappucci per l’inesperienza, ma per entrambi fa tanto «la radiolina sotto la scapola, col rumore che distoglie dall’udire una frenata o un contatto». Sono d’accordo su tutto, anche su chi vince il Giro d’Italia in partenza il 4 maggio: «Pogacar, troppo facile, non c’è più entusiasmo», ma sul resto del podio la lotta è viva, «se la giocano Geraint Thomas e Cian Uijtdebroeks».