«Dimenticare l’Olimpico» La carica dei tifosi eccellenti
Roby Facchinetti, 80 anni, leader dei Pooh l sorriso lo strappa in premessa Roby Facchinetti: «Se mi invitano a cantare l’inno di Mameli l’anno prossimo io ci sono». Sottinteso: perché tra dodici mesi l’Atalanta sarà ancora in finale di Coppa Italia. «Averla persa è stata per tutti una delusione devastante. Pensavamo di averla già in mano, ma il pallone è rotondo e va dove gli pare». Un po’ come gli acuti di Al Bano, insomma.
All’Olimpico era presente anche Giorgio Pasotti «È stata una brutta partita — dice —. Il gol della Juve è stato una doccia fredda. Prendiamone atto. Ora i ragazzi devono maturare, dimostrare di poter stare in certe partite come è richiesto ai grandi team. Un plauso speciale va a Gasperini, vero artefice dei successi di questa Atalanta». Anche Giorgio Marchesi, altro attore bergamasco, non ha mancato l’appuntamento di Coppa. «Ho ospitato familiari e amici — racconta —: sugli spalti c’era il popolo bergamasco, mi è dispiaciuto vedere i tifosi, molti dei quali bambini, risalire sui pullman. Speravo nella festa per la mia città. Invece, siamo tornati a casa per l’ennesima volta senza un trofeo». Secondo l’attore, la stagione dell’Atalanta è stata «straordinaria, al di là di ogni aspettativa, nonostante il periodo difficile vissuto a febbraio. Speriamo che ora non pesi la stanchezza».
Sul tema stanchezza ritorna anche Facchinetti: «Il calo fisico è da mettere in conto con tutte le partite disputate, ma in questo momento topico bisogna crederci fino in fondo. Devono farlo tutti e i tifosi che l’hanno sempre fatto saranno in prima linea. Giochiamo al massimo, come abbiamo sempre fatto, senza paura di nessuno», conclude la stella dei Pooh, complimentandosi con Cdk «per la crescita costante» e con Scamacca: «Ci ha messo un grande impegno ma sta di
Beppe Remuzzi, 75 anni, direttore dell’Istituto Mario Negri mostrando tutto il suo valore».
Marchesi sta facendo un pensierino a Dublino mentre Pasotti definisce la stagione della Dea come «storica, al di là dei risultati, è da incorniciare ed è bene gridarlo. Ovvio, se mercoledì vincessimo, sarebbe un sogno, un passaggio in avanti per non essere sempre la Cenerentola, che arriva ma non si afferma mai come le grandi squadre. Sarebbe come suggellare uno status». Chi ne sa, perché di erba ne ha vista tantissima è Marino Magrin: «Capita in ogni torneo di perdere una partita. È una legge matematica, e mi sa che per il Bayer questa potrebbe essere la volta buona. I tedeschi giocano un calcio totale e l’Atalanta potrebbe avere più spazio per finalizzare. Al netto del risultato che sarà, non era possibile pretendere di più dalla squadra su tutti i fronti».
Non rinuncia alla razionalità scientifica il professor Giuseppe Remuzzi che prova a mixarla con la passione del tifoso d’antan inoculatagli dallo zio, ingegnere e letterato, Camillo Remuzzi: «Che parava tutto in allenamento, ma nelle partite vere si emozionava per via del pubblico. Io alla finale vinta nel ’63 c’ero», rivendica con orgoglio, non senza qualche razionalissimo patema d’animo della vigilia. «Il Bayer ha vinto la Bundesliga e, un po’ scaramanticamente, eviterei di fare pronostici. Stiamo con i piedi per terra, mettendo in conto che non ci sarà De Roon, meraviglioso capitano, ma avremo in panchina il Gasp che ha quasi sempre ragione. Detto questo, aver conquistato la finale è un grandissimo risultato, ma non parliamo di miracolo, termine che non rende giustizia all’Atalanta: è tutto lavoro intenso e mirato con una chiara strategia».
Ancora Remuzzi: «La voce “provincia”, invece, mi piace, perché siamo una squadra provinciale, ma con le capacità per competere con le squadre più grandi. E lo stiamo dimostrando. Ormai i tempi in cui l’Atalanta perdeva quasi sempre con gli squadroni sono lontani. Una volta con l’Inter eravamo sotto di un gol, i tifosi cantavano “Bergamaschi fateci le case” (episodio raccontato nel suo ultimo libro “La Bergamo che non ti aspetti”, ndr), ma sul 2 a 1 finale i cori di sponda interista sono ammutoliti di colpo». «Stagione più rosea di questa non avremmo potuto viverla — chiude Giuliana D’Ambrosio, la locandiera più popular della città — e quella di Dublino dobbiamo vincerla per forza. Ma è meglio che stia zitta, sto in silenzio stampa, sennò porto sfortuna».
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Rosanna Scardi)