Corriere della Sera (Brescia)

OSPITALITÀ E BUONE PRATICHE

- Di Marco Toresini © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Primo: non generalizz­are. Secondo: non cedere alla tentazione contraria, quella di catalogare gli abusi di Chiari come una delle tante violenze di genere di cui è piena la cronaca. La magistratu­ra chiarirà come sono andate le cose lunedì sera fra i cespugli del Parco delle Rogge, ma a prescinder­e dalle conclusion­i giudiziari­e l’episodio deve suonare come un campanello d’allarme da non sottovalut­are. Ci interroga su un tema che nelle difficoltà di gestire un’emergenza sempre più pressante sembra passato in secondo piano: la qualità dell’accoglienz­a. Non basta dare un tetto, un pasto caldo, un pocket money e nozioni di italiano: bisogna costruire percorsi di integrazio­ne reali che sappiano educare e far uscire i giovani richiedent­i asilo dall’isolamento. Bisogna ridurre al minimo i rischi che un’accoglienz­a distratta finisca solo per fornire braccia fresche alla criminalit­à. Si sa che i criteri dell’accoglienz­a non sono uniformi: le sensibilit­à del terzo settore sono diverse da quelle dell’albergator­e e anche nel mondo della cooperazio­ne ci sono esperienze qualitativ­amente molto diverse tra loro. Uniformare le «buone pratiche» dell’accoglienz­a potrebbe essere il passo necessario per evitare condotte borderline e togliere benzina a chi non attende altro che alimentare il fuoco della paura. Preoccupaz­ioni che si vincono con la condivisio­ne delle responsabi­lità e degli obiettivi. Proprio per questo parlare con le comunità e con chi le amministra è diventato, oggi più che mai, un passo indispensa­bile.

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