Quando Fo volava con Chagall
Il Nobel, la sua mostra e quella lezione spettacolo che incantò il Grande
Girava nel suo studio con un grembiule color panna, le mani sporche di tempera e i barattoli sugli sgabelli: la chiamava la sua bottega. Tra le visioni olio su tela di Dario Fo, c’era la Bella di Chagall portata via dal vento. Per Santa Giulia, il giullare pittore aveva dipinto 33 tele e preparato un discorso da leggere al Grande sull’artista russo, il suo preferito. Era il 16 gennaio di quest’anno, la mostra avrebbe chiuso pochi mesi dopo. La sua morte, per Luigi Di Corato, direttore di Brescia Musei, resta un Mistero buffo: «Sono sotto choc. La prima volta che siamo andati da lui, a Milano, per parlare della mostra di Chagall, ci ha accompagnati fino all’ascensore, sul pianerottolo, come si faceva una volta. Era circondato da giovanissimi, tutti dediti a lui, ma non li trattava con superiorità». Il militante senza bandiere che diceva di sognare Franca Rame ogni notte e si metteva sciarpe rosa intorno al collo «aveva la capacità di tradurre i sogni in realtà. Era una persona sempre giovane, speciale». Non aveva il tempo per invecchiare: «Per lui non c’erano sabati né domeniche: lavorava sempre». È stato un demonio, uno che ha iniziato dalla parte sbagliata, un santo. Per Massimo Minini, Fo era «un grande professionista. Per il suo spettacolo al Grande, avevo preparato un discorso che finiva con la poesia della Vispa Teresa: che male ti fo. Siccome era un comico, pensavo gli potesse piacere. Me l’ha fatta togliere: il suo discorso su Chagall non era ironico ma drammatico. Non era più il Dario Fo del Mistero buffo». Lei aveva vent’anni e la patente da due mesi: con Ambra Angiolini si era incontrato per un viaggio RomaMilano ripreso dalle telecamere. Una macchina li sorpassa, sul finestrino c’è un cartello: «Hai vinto il Nobel». L’hanno scoperto in autostrada. «Se lo avessi saputo — ha detto lei a Corriere.it — mi sarei vestita meglio».