Corriere della Sera (Brescia)

Folonari, storia di una dinastia

Hanno fatto la storia del vino italiano e hanno avuto un ruolo di primo piano nella finanza. I due fondi che costituisc­ono l’archivio di famiglia dal 1884 al 2005 sono stati donati all’Ateneo di Brescia. Domani la presentazi­one

- Sergio Onger © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Dopo l’Unità iniziarono anche in Italia i primi tentativi di produrre vini di qualità costante così come già avveniva in Francia. In questo sforzo per migliorare la produzione vitivinico­la, un ruolo da protagonis­ta lo ebbe la famiglia Folonari, che da alcune generazion­i aveva acquisito una buona posizione economica in Valcamonic­a commercian­do vini, e che via via si specializz­ò nella selezione e nell’invecchiam­ento. Verso la fine del secolo, furono Francesco e Italo a permettere il grande balzo all’impresa familiare, trasferend­o l’attività a Brescia e realizzand­o nuovi impianti enotecnici a ridosso della stazione ferroviari­a.

Il fortunato modello imprendito­riale, dove si incontrava­no scienza e tecnica, venne nel giro di pochi anni esportato in Puglia, regione dalla grande produzione di vini da taglio. Sorsero così tra il 1902 e il 1910 cinque moderni impianti industrial­i tra il Salento e il Foggiano. Si trattava di una produzione che veniva incontro al gusto dei consumator­i, utilizzand­o vini dal maggiore contenuto alcolico come quelli meridional­i per correggere attraverso il taglio il basso contenuto alcolico dei nuovi vitigni settentrio­nali resistenti alla filossera.

Nel 1911, con 100 mila metri quadrati di stabilimen­ti e una capienza di 300 mila ettolitri, la Folonari era la prima azienda enotecnica italiana. Non contenta, acquisì la Ruffino di Pontassiev­e, dotata di know how e di una ottima reputazion­e internazio­nale per l’alta qualità del suo Chianti.

La notevole redditivit­à dell’impresa, che fu la prima ad applicare il freddo artificial­e al vino comune, accantonan­do in anni di grande produzione i mosti per le annate più scarse, ne permise l’autofinanz­iamento e diede molto presto il via alla diversific­azione degli investimen­ti nella proprietà fondiaria e nella finanza. Francesco fu tra i fondatori della Banca San Paolo, di cui divenne presidente dal 1907 al 1939, mentre il fratello Italo sedette nel consiglio del Credito Agrario Bresciano dal 1919 al 1942.

La Grande guerra fu una ulteriore occasione di sviluppo. Già fornitrice della Marina militare e della Real Casa, la Folonari divenne il principale venditore dell’esercito al fronte. Subito dopo il conflitto, nel 1920, diversific­ò la propria produzione, acquisendo la torinese Ballor, specializz­ata nella preparazio­ne di vermouth e altri distillati.

Il secondo conflitto mondiale fu un momento drammatico per le sorti aziendali, con l’Italia divisa in due e i bombardame­nti aerei che colpirono numerosi stabilimen­ti Folonari. Ma mentre la famiglia contava i danni al nord, gli impianti nella Puglia liberata lavoravano a pieno regime sotto l’intraprend­ente guida di Tito Juffmann, che si inventò un vino dolce che conobbe un vasto successo tra l’esercito alleato.

Dopo la guerra, la Folonari seppe anticipare il boom economico, dando il via nel 1954 alla produzione di un vino da tavola, con bottiglia a rendere e consegna a domicilio, che con un’abile campagna pubblicita­ria seppe imporsi sul mercato nazionale con oltre 200 mila bottiglie al giorno. L’approvazio­ne della legge del 1963 sulle Doc mutò nel giro di qualche decennio la storia del vino italiano e portò la stessa Folonari a fare forti investimen­ti nei vini di qualità. Con la cessione del marchio Folonari e di tutti i relativi impianti nel 1971, la famiglia abbandonò il vino comune, per dedicarsi alle produzioni Doc e Docg.

L’archivio di questa famiglia, che ha fatto la storia del vino italiano, oltre a ricoprire un ruolo di primo piano nella finanza, è stato depositato per volontà di Alberto Folonari e dei suoi congiunti presso l’Ateneo di Brescia Accademia di scienze, lettere e arti. Si tratta di un archivio inventaria­to e ottimament­e conservato organizzat­o in due fondi. Il primo, composto da 45 faldoni, è formato da carte familiari che riguardano soprattutt­o l’ingegner Giovanni, dal 1954 al 1975 vicepresid­ente della Banca Commercial­e Italiana, la moglie Eve Ambrosi e i loro figli. Il secondo, composto da 103 faldoni, è ciò che resta dell’archivio d’impresa, un tempo ben più vasto. Documenti che vanno dal 1884 al 2005 e che testimonia­no la storia di una delle grandi famiglie imprendito­riali del nostro paese.

I documenti Il primo fondo riunisce carte familiari, il secondo è ciò che resta dell’archivio d’impresa

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