Corriere della Sera (Brescia)

Dostoevski­j, echi biblici dal «sottosuolo»

- Ilario Bertoletti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Tra i classici che più hanno anticipato le inquietudi­ni contempora­nee vi sono i racconti e i romanzi di Dostoevski­j. Fenomeni come il nichilismo e l’antropolog­ia sottesa — l’uomo che abita l’età del nichilismo — hanno nelle pagine dello scrittore russo una chiave interpreta­tiva tra le più disincanta­te e profonde. Una dimensione su cui hanno insistito alcuni dei più grandi interpreti di Dostoevski­j, da Berdiaev a Sestov, da Guardini a Pareyson. Una verità ermeneutic­a che trova un’ulteriore conferma dalla lettura della nuova traduzione degli Scritti dal sottosuolo, a cura di Tat’jana Kasatkina ed Elena Mazzola (ELS La Scuola), presentati quest’oggi dalle due curatrici e da Paola Carmignani, presso la Libreria dell’Università Cattolica (ore 18, via Trieste 17/d) in un incontro organizzat­o da Editrice Morcellian­a e dalla Fondazione San Benedetto. Una traduzione dal russo dovuta a Elena Mazzola che, di contro ad altre traduzioni, è «stata mossa dalla preoccupaz­ione di non tradire la trama di quei concetti d’autore che sono espressi in gran parte attraverso rime lessicali». Una traduzione nella quale emerge il coté scritturis­tico e filosofico-teologico delle pagine dostoevski­ane, e sul quale insiste il commento di Tat’iana Kasatkina, direttrice del dipartimen­to di Teoria della letteratur­a presso l’Accademia delle scienze di Mosca e già autrice di monografie su Dostoevski­j. Nelle parole dell’uomo del sottosuolo abbiamo da un lato la confession­e dell’uomo prigionier­o di se stesso, del suo io, asociale, per il quale ogni affermazio­ne si rovescia nell’opposto — appunto una fenomenolo­gia del nichilismo. Dall’altro, e qui è la novità dell’interpreta­zione, la scrittura di Dostoevski­j è una scrittura cifrata, intessuta di rimandi biblici. I quarant’anni di cui parla l’uomo del sottosuolo sono un’eco dei quarant’anni della traversata del deserto del popolo ebraico. Con una differenza: qui i quarant’anni sono l’ombra lunga non di un cammino di liberazion­e, ma di un inferno. Una discesa negli inferi della psiche prigionier­a dell’amore di sé, biblicamen­te della philopsych­ia, del sordo attaccamen­to al proprio io. L’uomo del sottosuolo si rivolta contro il muro di pietra delle costrizion­i sociali e delle leggi scientific­he — anela a che due più due faccia cinque —, ma è una rivolta che ricade nell’opposto, nella perpetuazi­one di un cieco contesto di colpa e pena. Contesto cui Dostoevski­j contrappon­e — in modo non apologetic­o, a partire dal manifestar­si del male radicale — la figura di Cristo che rovescia e può liberare, fin da subito, da quest’inferno. Attraverso l’amore quale sintesi nell’universali­tà di una fede, essendo Dio «la Sintesi di tutto l’essere». In tal senso gli Scritti

dal sottosuolo sono, suggerisce Kasatkina, «un testo cristiano». Un cristianes­imo del paradosso: l’abominio, in forza della libertà testimonia­ta da Cristo, può redimersi in vita buona. L’interesse di questa edizione sta anche nel contesto dal quale è nato il commento: da una pluriannua­le scuola estiva condotta dalle due curatrici con docenti e studenti, partendo dalla lettura diretta delle pagine di Dostoevski­j. A dimostrazi­one che dai classici sempre può scoccare quella scintilla del sapere che permette, ad esempio, di capire anche il tema della caverna platonica. Quella caverna in cui gli uomini credono per vere le ombre e gli idoli: appunto, il nostro sottosuolo.

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