Cameron, Arbus e Leibovitz Donne che fotografano le donne
Certe vipere sminuivano i suoi primi piani velati e mossi, le immagini sfocate e macchiate, come un felice incidente, il successo di un errore. Con il suo fuori fuoco, piuttosto, Julia Margaret Cameron è riuscita a catturare la malinconia: donne e bambine vulnerabili, bellezze malaticce, signore impenetrabili. Le sue foto sono allo Spazio Contemporanea, corsetto Sant’Agata, con quelle di un gineceo di colleghe: la vernice di «Photographer - donne che fotografano le donne» è stasera, alle 19 (fino all’8 gennaio). Per i suoi ritratti, Diane Arbus (secondo una leggenda avrebbe documentato persino il suo suicidio nella vasca da bagno) prendeva una camera in hotel da pochi dollari: cercava prostitute, corpi mutili e grotteschi, nani e fenomeni da baraccone, gli aristocratici della sofferenza, come li chiamava lei. Sono esposti anche i suoi scatti, insieme a quelli delle sacerdotesse della pellicola come Ruth Bernard e Francesca Woodman, Cindy Sherman e Annie Leibovitz. America latina, Africa, Asia: dopo aver fatto il giro del mondo nelle prime edizioni, l’iniziativa allestita dalle ong Mmi, Scaip e Svi ha scelto l’universo femminile come tema, e non è un caso. Per vedere la mostra (la curano Cinzia Battagliola e Lucio Merzi, e gli scatti arrivano da parecchie collezioni italiane) non si paga un centesimo, ma le offerte sono molto gradite: andranno sul conto corrente del progetto «Sostegno delle donne delle comunità resilienti del Mozambico» che fisserà visite pre e post parto a 8 mila donne, oltre a garantire aiuto a levatrici e formazione ad attiviste che si occupano di educazione alimentare.