QUANDO UN FIGLIO HA BISOGNO DI TUTTI
La terribile storia della mamma di Lavagna e di suo figlio volato in cielo mette tutti in discussione. Un giovanissimo morto perché qualcuno cercava disperatamente di tutelarlo dalla droga, recita la cronaca. E l’occasione è buona, per chi ha voglia di strumentalizzazioni, per fomentare il dibattito tra legalizzatori e proibizionisti. Parole inutili. E, allora, perché non evocare lo spettro della paventata adolescenza che terrorizza molti genitori fin dalla culla? Dibattito infruttuoso. L’adolescenza in sé, infatti, non è un momento necessariamente drammatico e difficoltoso. In fondo in fondo è solo la presentazione al resto del mondo di una vita che è nata e cresciuta psicologicamente, fino a quel momento, prevalentemente in famiglia. Già, la famiglia. La base della sicurezza della vita adolescenziale, prima, e di quella adulta, poi. Due genitori concepiscono emotivamente un figlio e sposano, per sempre, la responsabilità enorme di farlo crescere sereno. È proprio quella mamma di Lavagna a darci la dritta per leggere la storia come si deve. Lei chiede scusa al suo ragazzo di non avere saputo colmare il vuoto di un’altra mamma e di un altro papà che lo avevano abbandonato. Il pensiero di chi lavora con il cuore delle persone può correre alle infinite difficoltà dei genitori che prendono quel posto così importante, ma anche così difficile. E alla carenza di strumenti che si hanno, e si trovano, per affrontarle. Fuori sede, fuori tempo, lavorando contro corrente, si guadagnano tappa dopo tappa microscopiche briciole di relazione, affetto, tranquillità, fiducia. Proprio ieri un piccolo meraviglioso che ha firmato la sentenza di adozione insieme a mamma e papà ha esclamato nella sua nuova lingua: «finalmente pace interiore». Grazie bambino. Ci hai spiegato tutto. Tutto quello che serve per costruire l’amore e per crescerlo proficuamente, perché l’amore sia il trampolino di lancio per godere la vita e non per ucciderla. Adesso qualcuno sentenzierà che l’adozione è un buco nero da cui non si esce in moltissimi casi, che è inutile portare via i bambini dalla loro miseria, e così via. I Soloni sentenziano per invidia. Le persone con un cuore grande, lo dice quello stesso bambino, fanno una famiglia e la aiutano perché tutti possano sentirsi «uguali». Lui è impegnato a sentirsi simile a mamma e papà. Sta a loro aiutarlo, ma anche a tutti quelli che sono intorno a loro. Da giorni il piccoletto ingloba nella famiglia i parenti e gli amici che conosce via skype. Chiede sostegno e accettazione anche a loro. Come il ragazzo di Lavagna, come tutti i figli del mondo che hanno davvero bisogno di tutti noi.