Per il «crac Stabiumi» il giudice dice no agli sconti
Prime condanne per il consulente finanziario e il liquidatore dell’azienda
Respinte le richieste di patteggiamento per Onorato e Giacomo Stabiumi e altri due imputati. Per il crac da 30 milioni del caseificio di Azzano ieri emesse le prime condanne per consulente finanziario e liquidatore.
Secondo gli inquirenti era il prestanome cui erano state girate tutte le ricchezze degli Stabiumi. Ieri Pier Luciano Aldovrandi, consulente finanziario biellese, nel processo per la bancarotta del caseificio Stabiumi di Azzano Mella, è stato condannato con rito abbreviato, a quattro anni. Ha invece patteggiato una pena di un anno e sei mesi Salvatore Granatello, co liquidatore dell’azienda.
Rigettata dal gup Carlo Bianchetti la richiesta di patteggiamento per Celestino Assoni, Giuseppe Gardoni, commercialista, e per Onorato Stabiumi e il figlio Giacomo, per i quali si era pensato di proporre pene da un anno e quattro mesi a tre anni e sei mesi. A vario titolo a tutti i coinvolti era contestata la bancarotta fraudolenta, l’infedele dichiarazione, le false comunicazioni sociali e l’evasione fiscale. Pene troppo blande, secondo il Gup che ha fissato una nuova udienza, il 6 aprile prossimo, per decidere su un eventuale rinvio a giudizio.
I fatti risalgono al 2011, quando l’indagine della Guardia di Finanza, a fallimento del caseificio già avvenuto, aveva scoperto quella che al tempo era stata definita un’opera di «ingegneria societaria», sotto la regia di Onorato Stabiumi. All’imprenditore bassaiolo era stata ricondotta la paternità della costituzione di una società in Lussemburgo, partecipata da una società off shore con sede a Panama, che aveva acquisito le quote dell’Immobiliare Valtrompia che risultava intestata ad Aldovrandi e a cui erano riconducibili tutti i beni mobili e immobili già di proprietà dell’azienda fallita.
Le Fiamme Gialle, coordinate allora dal sostituto procuratore Antonio Chiappani, avevano avviato le indagini proprio subito dopo la dichiarazione di fallimento dell’azienda di Azzano Mella, nel 2008. Il sospetto di una distrazione di beni reclamati dai creditori era forte. Per questo il Nucleo di polizia Tributaria non solo aveva passato al setaccio tutta la documentazione contabile e fiscale del caseificio, ma aveva anche eseguito numerose perquisizioni in studi professionali e società collegati agli Stabiumi.
Sotto sequestro erano finite quote societarie, comprese quelle dell’azienda proprietaria di parte dei terreni che erano destinati alla realizzazione del discusso polo logistico di Azzano Mella, mai andato in porto. Le indagini e le verifiche incrociate, operate dalla Guardia di Finanza, avevano ripercorso gli ultimi dieci anni di attività del Caseificio Stabiumi. La trama degli affari aveva messo in luce una «spatrimonializzazione» per sfuggire ai creditori, soprattutto piccoli allevatori che conferivano il latte al caseificio, che, secondo gli inquirenti, avrebbero potuto essere liquidati. Tra i beni, occultati all’estero e ufficialmente in capo a società intestate al prestanome, anche una lussuosa villa in Kenya.
Un crac con distrazioni intorno ai 30 milioni di euro, ai quali, si era riscontrato, si doveva aggiungere il tesoretto ricavato con la vendita sotto banco di formaggio per oltre quattro milioni e mezzo di euro. In carcere erano finiti Onorato e Giacomo Stabiumi e Pier Luciano Aldovrandi, mentre Gardoni era ai domiciliari . Dall’inchiesta, in una fase successiva, erano stati esclusi altri indagati, in tutto 15, tra i quali Amato, Clara e Ginevra Stabiumi.
Ad aprile si proseguirà dunque nell’accertamento delle responsabilità, con la Procura, rappresentata dal procuratore aggiunto, Carlo Nocerino, chiamata ad inserire nei capi di accusa anche alcune aggravanti escluse dalle contestazioni presentate ieri.