Corriere della Sera (Brescia)

BRESCIA MANCHESTER GEMELLE NEL DOLORE

- Di Marco Toresini

Accade di maggio, a Brescia come a Manchester. Accadde 43 anni fa, ma sembra ieri. Come se l’oggi del fanatismo religioso si saldasse allo «ieri» dell’ideologia, in un’unica, dilatata, strategia della tensione diventata «glocale». Nelle nostre case sono entrati attraverso i video amatoriali il rumore sordo dell’ordigno fatto esplodere alla Manchester Arena e le grida disperate di alcune ragazzine: «Oh my God, oh my God!». Quasi lo stesso rumore che si sente in quell’audio registrato in piazza Loggia nel 1974 dai microfoni di Rbs con le voci concitate dei sindacalis­ti dal palco: «La bomba, la bomba... compagni e amici state fermi». Così, scorgendo la corsa disperata dei giovani per le scale mobili dello stadio inglese, par di immaginare la folla spaventata che da piazza Loggia va verso piazza Vittoria per far posto ai soccorsi. Brescia e Manchester, dunque, appaiono gemellate da un dolore profondo che quasi sovrappone le foto in bianco e nero di Arnaldo Trebeschi che veglia il fratello o di Manlio Milani che sorregge il capo della moglie Livia con le immagini a colori del padre accanto alla figlia ferita, della madre in lacrime davanti a tanto scempio. E poi gli oggetti. Le orecchie di coniglio portate con il cerchietto (segno distintivo delle fan di Ariana Grande) come gli ombrelli sconquassa­ti dall’onda d’urto dell’esplosione accanto alla colonna della tragedia bresciana.

Persino le prime reazioni s’assomiglia­no nell’incredulit­à che a caldo accompagna questi fatti. «Pensavo fossero scoppiati dei palloncini distribuit­i per il concerto» si è illusa una giovane partecipan­te a quella che doveva essere una festa di teenagers. «Pensavo fosse scoppiato un petardo, volevo allontanar­e da me l’idea di una bomba» ricorda ancora oggi, quasi scusandosi, Manlio Milani in uno dei tanti incontri con gli studenti in quel prezioso cammino della memoria che per lui è diventato una missione. È seguendo una scia di sangue che, pur cambiando mandanti e moventi, non si è mai realmente arrestata, possiamo far tesoro oggi di quello che abbiamo imparato ieri. Parlare ai giovani di piazza della Loggia e di quei tempi bui (dal 1969 al 1980: 125 morti e 607 feriti, una decina di sanguinosi attentati) non è dunque solo esercizio di retorica, ma capacità di creare gli strumenti giusti per capire il presente. Fare memoria è, oggi più che mai, costruire una coscienza collettiva che generi gli anticorpi contro chi usa le bombe per destabiliz­zare una società fragile. Conoscere i percorsi tracciati dal 1974 in poi aiuta a capire che dietro ogni esecutore materiale, per solitario che sia, ci sta un mandate, un potere occulto, una strategia destabiliz­zante. Metabolizz­arli e declinarli nel nuovo millennio, ci indica anche una via collaudata nella lotta al terrorismo: quella fatta di leggi efficaci, mobilitazi­one dei uomini migliori nella repression­e, controllo del territorio, tanta prevenzion­e ed eliminazio­ne di quelle zone grigie entro le quali i potenziali terroristi sono solo — come si diceva quarant’anni fa — «compagni che sbagliano». Allenare la memoria oggi, sopratutto fra i giovani, vuole dire costruire le basi necessarie a superare lo choc e a rispondere agli attentati non con la paura e l’isolamento, ma con la condivisio­ne e la risposta corale. Manlio Milani non ne ha mai fatto mistero: quando quel giorno, poche ore dopo la morte della moglie lasciò l’obitorio dell’Ospedale Civile e tornò in piazza Loggia ritrovò il calore, la solidariet­à e il sostegno di tanta gente che non aveva mai lasciato quel luogo insanguina­to. «Proprio lì, credo, scattò la consapevol­ezza che io, da quel momento, avevo il compito di trasmetter­e la memoria di quanto era successo» ricorda. Una missione preziosa. E oggi più che mai ne apprezziam­o il valore.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy