Corriere della Sera (Brescia)

I fabbri di Bill Gates

- di Alessandra Troncana © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Alcuni artisti amano stare dentro il mondo: ne percepisco­no voci, intermitte­nze, sussulti. Altri preferisco­no vivere geografie diverse: in un’officina a Caldes, nella Val di Sole, impregnata dall’odore del ferro e con le foglie di magnolia scolpite alle pareti. «Ma noi non siamo artisti. Siamo fabbri» dice Ivan Zanoni.

L’insostenib­ile leggerezza del ferro: lui, suo padre Luciano e il loro bestiario scolpito sono all’Arsenale di Iseo, per il Festival dei laghi. Vigne, ulivi,

Due generazion­i Il padre Luciano fu scoperto da Testori, il figlio Ivan ne segue le orme in officina

anatre e uccellini. Nel cortile, a dividere la testa di un leone da quella di un elefante, un canneto. Sullo sfondo, una sinfonia di rumori: martelli che cadono, pinze, tenaglie, il ferro battuto, il maglio. «La nostra musica». La vernice di “Bottega Zanoni” è sabato alle 18 (la cura Marcella Mattivi; fino al 23 luglio).

Suo padre è stato scoperto da un Testori che fu il primo a organizzar­gli una mostra, a Milano. Era il 1979. Lo descriveva «duro e commovente, sempliciss­imo e possente».

«Io ero un bambino, e lui non voleva assolutame­nte farle una mostra, non si è mai sentito un artista. Appena ha visto le sue mele e le sue pere in officina, però, Testori ha insistito e non ha mollato. Ricordo mio padre che gli dava del pazzo».

Un giorno, era il 1996, chiamò monsieur Varnier, il vostro gallerista di rue des Beaux Arts, Parigi. Bill Gates voleva un ulivo per la sua fondazione di Seattle.

«L’architetto di Gates, Thierry Despont, aveva visto le nostre sculture in galleria e voleva assolutame­nte che facessimo un ulivo. Varnier ci chiamò, ma senza dirci chi fosse il committent­e. Papà continuava a rifiutare: non era il suo albero, non lo conosceva. Il gallerista fu costretto a prendere l’aereo e venire in officina con le bozze del progetto. Le lasciò sul tavolo e disse: “Pensateci”. È stato a quel punto che abbiamo visto il nome di Gates scritto sulle carte, ma non sapevamo chi fosse. Alla fine ci ha convinti un nostro amico giornalist­a, Gianni Faustini: Luciano — gli disse — devi farlo assolutame­nte, questo è uno importante. L’albero che non voleva fare, poi, è diventato il preferito di mio padre. Perché l’ulivo sopravvive a tutto».

Sopraccigl­ia arricciate e capello indomabile, Jean Claire, il bulimico storico francese, restava appoggiato sulla porta dell’officina per almeno un’ora e mezza al giorno. Guardava suo padre, e le sue mele di ferro.

«Non diceva una parola. Affiorava all’improvviso, dal nulla, e restava immobile: è stato il primo ad intuire l’indole d’artista di papà. Forse perché anche Jean Claire ha origini contadine: nonostante viva a Parigi, viene dalla campagna come noi».

Con Antonio Stagnoli e le sue incisioni c’erano affinità elettive: avete fatto due mostre. La natura scolpita nel ferro e grumi di colore sulla carta. Che ricordi ha?

«Si esprimeva attraverso la dolcezza. Lui che negli ultimi anni non vedeva e non sentiva, toccava le cose come fossero tutte morbide. Mi infondeva una calma incredibil­e».

Lei è un «figlio di». Ha respirato l’odore del carbone da bambino. Non dev’essere facile lavorare con suo padre.

«Sono partito avvantaggi­ato: conosco già l’ambiente, le persone, la tecnica. Ma ho sempre avuto davanti a me un paracarro, una figura ingombrant­e. Per questo ho deciso di cambiare soggetto, abbandonar­e o quasi la natura e scolpire gli animali. Lui è più sanguigno. Io, che ho studiato oreficeria, più cervelloti­co. I miei lavori sono armature leggere, i suoi sono più massicci. Ma restiamo entrambi fabbri».

La scelta di Seattle Il fondatore della Microsoft voleva un ulivo: a noi il nome Gates non diceva nulla

Mestiere Mio padre è sanguigno, io sono più cervelloti­co, entrambi restiamo soprattutt­o fabbri

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Fucina Ivan e Luciano Zanoni nella loro officina. Accanto due loro creazioni, l’ulivo e la vite
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