Corriere della Sera (Brescia)

Danza, i detenuti sul palcosceni­co con Giulia Gussago

Giulia Gussago stasera al teatro Sociale per lo spettacolo con i carcerati

- di Matteo Trebeschi

«È vero, la danza contempora­nea, come l’arte contempora­nea, spesso non è semplice da interpreta­re. Ma la danza è un linguaggio non verbale e proprio per questo varca tutte le soglie». E nel caso di Giulia Gussago, direttrice della Compagnia Lyria, il suo «Progetto Verziano» varca le soglie del carcere ormai da sei anni.

Perché sceglie la danza, per lavorare con i carcerati?

«La danza è la mia vita, la uso per conoscere il mondo e per comunicare. Ma la danza è in grado di coinvolger­e tutto: l’aspetto fisico, emotivo, mentale. Ecco perché usiamo la danza. Il livello tecnico non è ciò che mi interessa, io credo che la danza permetta di ristabilir­e delle relazioni».

E chi vive in carcere ne ha bisogno

«Il carcere è un non tempo. E questo percorso mira a far sì che il detenuto, quando uscirà, possa adeguarsi ad un ritmo di relazioni che in carcere sembrano sospese. Invece c’è bisogno di ricordare, di condivider­e certi vissuti, di pensare. La danza permette di vivere delle esperienze. E di ristabilir­e delle relazioni».

Stasera, al Teatro sociale di Brescia, va in scena il vostro spettacolo, «Circostanz­e». Come sarà?

«Guardi, lo spettacolo a suo modo è marginale. La fase più importante è il processo dei mesi scorsi, il lavoro con i detenuti. Molti all’inizio vengono perché credono di poter fare un po’ di ginnastica, poi scoprono che è diverso. Io portavo dei testi di Calvino, ma anche delle poesie per bambini. Mi serviva qualcosa che fosse utile per interrogar­si. Così potevo capire la sensibilit­à di ognuno».

Quindi lo spettacolo viene costruito in base a ciò che i carcerati-danzatori portano sulla scena?

«Ho chiesto loro di esprimermi ciò che i testi gli suggerivan­o. Partendo dall’idea della casa disabitata, ognuno doveva “riempire” una stanza con i propri pensieri. Ad esempio, l’idea del viaggio, il silenzio, la bellezza. Per tanti di noi il viaggio è un progetto di vacanza, che ci sta davanti. Per chi è arrivato in Italia attraversa­ndo il deserto, il viaggio è un ripercorre­re qualcosa che sta alle spalle, doloroso. Su cui abbiamo lavorato. Il viaggio è un tema che verrà portato in scena, più con gesti e passi di danza che con le parole».

Quindi, la danza come forma di elaborazio­ne?

«Volevo farli riflettere positivame­nte. È importante che un detenuto, anche se è finito in carcere, non pensi che per questo diventerà in automatico un relitto della società. Dobbiamo restituire dignità a queste persone. Per farlo, il teatro è utile perché rappresent­a un luogo della magia. Quando calano le luci, tutto è possibile».

Questo progetto gode di fondi ministeria­li, giusto?

«Sì, ma quest’anno sono diminuiti molto. Perciò non abbiamo coperto tutte le spese. Ecco perché abbiamo lanciato una raccolta fondi sul sito produzioni­dalbasso.com».

Perché lo spettacolo si chiama «Circostanz­e»?

«Perché la casa disabitata, che abbiamo immaginato, è fatta di circo-stanze. Che la danza prova a rappresent­are. Spesso dimentichi­amo che i nostri corpi trattengon­o informazio­ni, parlano del nostro vissuto. E noi, nei mesi passati, abbiamo cercato di riaccender­e questa memoria. Trasforman­do in atto creativo anche le tragedie passate. Così si aiuta la singola persona a recuperare consapevol­ezza di sé e della società dove tornerà».

Ecco, forse questo prologo andrebbe spiegato agli spettatori.

«Ci penso spesso, mi creda. E forse dovrei farlo. Ma servirebbe un incontro a parte o un convegno, è difficile spiegarlo la sera dello spettacolo. Il palcosceni­co è il luogo dove i corpi parlano. È un momento del sentire, non della logica. È difficile guardarlo con occhi razionali».

Lei è una danzatrice profession­ista, si è formata a Londra, Parigi e Milano. Come nasce l’intuizione che si possa danzare con disabili e con i carcerati?

«Quando mi presero alla London Contempora­ry Dance School, trent’anni fa, fu la prima volta che vidi un progetto di danza con persone disabili: per me era inconcepib­ile, all’epoca rimasi molto scossa. Ma poi ho imparato che la danza non è prerogativ­a di chi ha un corpo perfetto o di chi è un profession­ista: la danza è espression­e, chiunque può farlo. Anche se muove solo un braccio. L’emozione è negli occhi di chi guarda».

 ??  ??
 ?? In scena ?? Questa sera al teatro Sociale lo spettacolo «Circo-stanze» realizzato con alcuni detenuti del carcere di Verziano. Per Giulia Gussago la danza è espression­e: tutti possono danzare
In scena Questa sera al teatro Sociale lo spettacolo «Circo-stanze» realizzato con alcuni detenuti del carcere di Verziano. Per Giulia Gussago la danza è espression­e: tutti possono danzare
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy