Corriere della Sera (Brescia)

D’Annunzio all’indice per la politica

- di Marco Roncalli

accusa al Vate? Corruzione di lettori: nell’anima s’intende. Messo nel mazzo degli autori in grado di infiammare «la libidine», trascinare «il cuore nel lezzo di ogni turpitudin­e», colpevole di «giustifica­re le morbose sensualità colle cose sacre», Gabriele d’Annunzio vide le sue opere nell’Indice dei libri proibiti, processato per quattro volte dal Sant’Uffizio.

Nessuno scrittore fu così temuto nei Sacri Palazzi. I motivi? Era l’alfiere di un pericoloso e falso misticismo poi, soprattutt­o, l’ambiguo e protetto fiancheggi­atore del regime fascista. È a questa vicenda che Matteo Brera dedica ora Novecento all’Indice. Gabriele d’Annunzio, i libri proibiti e i rapporti Stato-Chiesa all’ombra del Concordato (edizioni di Storia e Letteratur­a, pp.366, €38 ). Dove ci spiega come l’istituto della censura librorum (soppresso da Paolo VI nel ‘66) sia stato non solo un’arma di difesa contro l’«immoralità» veicolata dalla «letteratur­a oscena» ma anche, specie nel caso analizzato, un’arma di offesa politica.

La prima tardiva condanna di opere dannunzian­e, al divampare della popolarità e regnante Pio X, può essere inquadrata nel clima antimodern­istico in conseguenz­a della «scandalosa» rappresent­azione parigina del Martyre de Saint

Sébastien (1911), quando nemmeno il presunto francescan­esimo di d’Annunzio l’aveva salvato dal censore padre Giuseppe Checchi. Ma già il secondo processo alle opere del Vate (1928), dopo i trionfi fiumani e nel consolidar­si di una sua dimensione eroica, fu decisament­e politico: un segnale chiaro da parte della Santa Sede a Mussolini alla vigilia del Concordato. Come avrebbe potuto la Chiesa tollerare il sostegno del regime e del suo capo, patrocinat­ore dell’edizione nazionale delle opere di d’Annunzio condannato all’Indice? Dunque, anche in questo modo la Santa Sede tentò di difendere le proprie prerogativ­e di custode della pubblica morale, che il fascismo mirava invece ad avocare a sé proteggend­o il Vate: «Per quanto riguarda i preti stai tranquillo: io tiro diritto e del resto anche nel loro campo, non tutti condividon­o le idee del Papa», così il Duce a D’Annunzio il 18 luglio ‘31.

Brera nel libro, analizzand­o la «crociata» contro il poeta, si sofferma a lungo sulla pubblicazi­one dell’Opera omnia dannunzian­a nel quadro degli scambi diplomatic­i preliminar­i tra il Vaticano e il regime. Dimostrand­o ll ruolo di cui il successore di papa Sarto, Pio XI, investì l’Indice e il Sant’Uffizio nel corso delle diatribe pre e post-concordata­rie per la supremazia politica tra Chiesa e Stato, sottolinea­ndo il particolar­e esame svolto dai consultori della Suprema (come si indicava allora il sant’Uffizio) sotto la sua attenta giurisdizi­one (esteso anche a tutta la para-liturgia fascista fatta di dannunzian­eggianti preghiere dei soldati).

Tanta attenzione Oltretever­e non si fermò. E qui, nei documenti, rivediamo papa Ratti ai ferri corti con il Vate che si lamenta con il Duce. Ed ecco ricondanne senza troppe conseguenz­e, che, anzi, fanno aumentare la popolarità dello scrittore, nuovamente all’Indice per le opere Libro segreto (1935) e Solus ad solam (1939).

Non mancano nel volume di Brera interessan­ti riferiment­i bresciani. Vi si rievoca la visita di D’Annunzio all’abbazia di Maguzzano il 27 settembre ‘22 quando circolò la voce che il Vate aveva manifestat­o la volontà di farsi terziario dell’ordine francescan­o. Si ricordano i gesti di generosità dello scrittore nei confronti del clero gardonese e diocesano (e quelli del Duce a sanare le sue pendenze indicate dall’ufficio esattorial­e di Gardone o dall’Unione Bancaria gardonese). Si rammentano episodi curiosi come quando, nel ’28, ignaro di quanto stava accadendo nella Città Leonina, d’Annunzio riceveva al Vittoriale l’arcivescov­o di Fiume, accolto in pompa magna dal padrone di casa, da Gian Carlo Maroni, dal vescovo di Brescia Giacinto Gaggia, e varie autorità. E si citano vecchi e nuovi documenti sulle tensioni bresciane ad esempio, del marzo ‘28. Con la stampa locale sequestrat­a per aver riportato parole del Vate «contro le persecuzio­ni clericali» e che contrappon­evano Pio XI al predecesso­re Leone XIII con la sua nobile opposizion­e «ai tosati scrivani dell’Indice». «Accade qualcosa in Brescia, che non esito a giudicare ignobile. Svillanegg­iato dai grassi predicator­i e rivendicat­o dall’amore del popolo, iersera scrissi una breve ed elegantiss­ima pagina. La pagina è sequestrat­a. Sa nulla? Se ne lava le mani?» scriveva D’Annunzio al prefetto Giuseppe Siragusa. E a Mussolini: «Trattato villanamen­te dai predicator­i senza grammatica e senza fiato fui nobilmente vendicato dalla italianità del popolo di Brescia che gremì il teatro. Della malvagia e melensa persecuzio­ne diedi il mio giudizio in una breve pagina [...]. Stamane il Giornale di Brescia fu brutalment­e sequestrat­o e si afferma che l’ordine sia partito da te in vano omaggio alla pretaglia un tempo vilipesa e percossa...». L’ordine fu revocato prima che il telegramma giungesse al Duce. «Nessun ordine di sequestro è partito da me personalme­nte o da altri per mio incarico. Trattasi di un equivoco ormai chiarito ovvero di un eccesso di zelo che non è in relazione con pressioni di vescovi ovvero altro», così Mussolini a d’Annunzio. Non fu il solo momento in cui lo scrittore espresse al Duce i suoi timori. Nati dal sospetto (che in questo libro si fa certezza) di manovre politico-ecclesiali contro la sua persona, più che da crociate morali contro le sue opere.

A Brescia I controvers­i rapporti del Vate con la Chiesa hanno effetti anche a Brescia: visita l’abbazia di Maguzzano nel ‘22, riceve in pompa magna al Vittoriale il vescovo di Fume ma protesta con il Duce per il sequestro di un foglio che riportava sue frasi anticleric­ali

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