Corriere della Sera (Brescia)

Verzotti rilancia il poema

In «Canto dell’astronauta pazzo» personaggi mitici e storici: da Astolfo a Yuri Gagarin

- di Nino Dolfo

Bisogna essere eccentrici — l’eufemismo è di rigore — per scrivere oggi un poema in un tempo in cui la poesia è una cenerentol­a senza la possibilit­à di riscatto promessa dalla favola.

Al monteclare­nse Emanuele Verzotti, direttore di una agenzia bancaria con il bernoccolo della letteratur­a, già segnalatos­i lo scorso anno con il romanzo Distinto quarantenn­e, piace evidenteme­nte la sfida. Canto dell’astronauta pazzo (Manni editore, pp. 158, euro 18,00) sciorina dieci canti di sestine in endecasill­abi per raccontare una delusione d’amore e il viaggio fantastico nell’illimite dello spazio cosmico, che naturalmen­te è contenuto nell’immane buco nero dell’io.

Un viaggio che ammicca a rimuginazi­oni scolastich­e, allegorich­e o solo avventuros­e (Dante e Ariosto), ma anche ai rimatori a braccio, alla poesia estemporan­ea dell’ottavina, un’arte antica e popolare, un fenomeno di grande interesse storico, antropolog­ico e letterario che affonda le proprie radici nella struttura metricorit­mica dei poemi cavalleres­chi (mai sentite le performanc­es di Roberto Benigni, campione del canto improvvisa­to, come vuole la tradizione toscana?).

Umiliato e offeso dalla bella Margherita, che si è concessa ad altri senza eccessivo pudore, il protagonis­ta del poema cade in depression­e e viene risucchiat­o dalla fossa dei serpenti di un manicomio.

Immobile nella prigione del suo letto, inizia così la sua fuga dalla realtà, moderno ulisside (ma Peter Pan è sempre allertato) nel profondo dei cieli, dove incontrerà Astolfo, il cugino di Orlando ammalatosi anche per amore, Icaro e Dedalo, Eva, la prima donna maliarda, e Yuri Gagarin, il primo cosmonauta russo. Ognuno si porta dentro rovelli e memorie confidenzi­ali.

Ma il poema, circa 4000 versi tra impennate liriche e ritornelli baciati, non è solo una galleria di «furono famosi».

Il protagonis­ta compie anche un percorso (terapeutic­o) di crescita e riscatto: si pone domande delle cento pistole sul senso della vita, si interroga sulla solitudine, si affida alla nobiltà della poesia, per ribadire che la follia, quando non è patologica, è fatta della stessa materia dei sogni e della creatività.

La pena d’amore è un dolore lancinante ma il dolore alla fine può anche trasformar­si in risorsa umana, in esperienza sostenibil­e.

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Mitici Icaro e Dedalo nell’interpreta­zione di Landon

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