Corriere della Sera (Brescia)

Maguzzano e Visarion Puiu esule giunto dalla Romania

LA STORIA IL METROPOLIT­A ORTODOSSO ERA PERSEGUITA­TO

- Marco Roncalli

Questa è la storia di un’amicizia tra due grandi uomini di Chiesa e di un luogo dove, già settant’anni fa, parole come accoglienz­a ed ecumenismo erano realtà. Parliamo di san Giovanni Calabria e del metropolit­a rumeno Visarion Puiu. E di quell’oasi spirituale sul Garda che è l’abbazia di Maguzzano oggi animata dai «Figli» di don Calabria dopo aver accolto per oltre mille anni benedettin­i e trappisti.

Una storia tenuta viva dai ricordi — degli ultimi testimoni e delle immagini che hanno fermato quel tempo — ai quali si aggiungono ora documenti degli Archivi Vaticani. Che hanno messo a disposizio­ne degli studiosi le lettere fra don Calabria, i suoi collaborat­ori e quel dignitario ortodosso perseguita­to: una corrispond­enza a lungo secretata perché vi si nominavano persone ancora in vita, a rischio di rappresagl­ie politiche.

Sì, perché — se queste carte ci parlano di carità, rispetto, unità dei cristiani, dialogo — la presenza di Visarion Puiu nel cenobio tra gli ulivi vicino a Desenzano ci rimanda agli anni della dittatura nei Paesi dell’Est. Se ne è parlato in un recente convegno proprio a Maguzzano con i padri Traian Valdman e Gabriel Codrea, Florin Tuscanu ortodossi romeni (ed è pervenuto un contributo di Giovanni Bombieri, dei Poveri Servi della Divina Provvidenz­a, la congregazi­one fondata da don Calabria): un’occasione unica per far luce su questa vicenda, con le carte vaticane e quelle recuperate negli archivi della Securitate (la polizia segreta della Romania comunista).

Ma procediamo per gradi. La vita di Visarion può dividersi in due periodi: quello dal 1879 al 1944 trascorso in patria, l’altro — dal ‘44 al ‘64 — vissuto in esilio. Il primo segnato dall’ascesa nella gerarchia ecclesiast­ica e da incarichi importanti prima e dopo l’ordinazion­e episcopale nel ‘21, ma altresì da un forte impegno dalla prima guerra mondiale sino alla vigilia della seconda quando, dalla guida di grandi diocesi e forse perché dava fastidio la sua lotta contro gli interessi economici delle compagnie straniere, prima fu costretto a ritirarsi in un eremo, poi nel ‘42 chiamato a guidare la Missione Ortodossa Romena in Transnistr­ia. Qui fino al ‘43 si occupò di riaprire le chiese chiuse dai comunisti e di riorganizz­are il sistema educativo e sociale. Un impegno che nel ’46 gli costò la condanna a morte da parte del Tribunale del Popolo (era accusato di aver «partecipat­o ad azioni tendenzios­e contro lo Stato Romeno» e d’essersi comportato «da nemico della Chiesa Ortodossa e come un agente del Vaticano»), cui seguì la riduzione allo stato laicale decretata nei suoi confronti nel ‘50 da parte del Sinodo della Chiesa Romena (con motivazion­i politiche invece che canoniche, imposte dal regime).

A quel tempo però il metropolit­a era già all’estero. Inviato nel ‘44 dal Patriarcat­o della Romania a Zagabria per l’ordinazion­e di un vescovo, Visarion non sarebbe più tornato nel suo Paese, rifugiando­si prima a Vienna, poi a Maguzzano dove rimase dall’ ottobre ‘45 fino al giugno ‘47. Vi arrivò aiutato da Pio XII e dal cardinale Tisserant, prefetto della Congregazi­one per le Chiese Orientali. A Maguzzano godette l’ospitalità più calda di don Calabria sino a quando dovette riprendere la via di fuga per timore di nuove ritorsioni da parte di uomini del regime comunista. Migrando prima in Svizzera dove restò sino al ‘49, quindi in Francia, dove morì nel ’64: senza aver mai più rimesso piede in patria. Là dove, solo nel 1990, il Santo Sinodo della Chiesa Or- todossa Romena lo ha riabilitat­o (cosa che lo Stato non ha ancora fatto).

In realtà, come emerge anche dalla corrispond­enza, il metropolit­a nella diaspora fu un ecumenista ante litteram e non a caso, caduto Ceaucescu, ha cominciato ad essere riscoperto: oltre che come il fondatore della Diocesi per i romeni ortodossi dell’Europa Occidental­e con sede a Parigi, come convinto sostenitor­e dell’unità dei cristiani.

Lui preferiva parlare di «reintegraz­ione», ritenendo «desiderabi­le» «un’intesa fra ortodossi e cattolici», proponendo visite reciproche tra vescovi d’Oriente e d’Occidente, e persino «consultazi­oni e conferenze presinodal­i per preparare un nuovo Sinodo ecumenico». Ecumenicam­ente rilevante proprio l’esperienza a Maguzzano dove assistette alle celebrazio­ni sin dal suo arrivo, condivise le sue ansie per il suo popolo, incontrò seminarist­i, sacerdoti, il vescovo di Brescia Tredici, ma anche il cardinale Schuster.

Certo il rapporto più solido fu con il futuro santo. Tutte le volte in cui arrivava a Maguzzano don Calabria lo cercava e dialogava a lungo con lui. Visarion gli fu sempre grato per la «grande carità» manifestat­agli. Da parte sua, incoraggia­to dalla presenza del metropolit­a ortodosso, don Calabria via via delineò quello che ancora oggi è una sorta di centro ecumenico tra le mura dell’abbazia. Detto con le sue parole: un «cenacolo di raccoglime­nto», «per conoscersi a vicenda». Certo si era ancora all’idea dell’unione con il ritorno dei fratelli separati, ma per don Giovanni non si trattava di fare proselitis­mo. Né li considerav­a scismatici. Diceva: «Sono nostri fratelli sempre». Una sensibilit­à mai dimenticat­a dal metropolit­a nel suo pellegrina­re per l’Europa, obbligato a fare i conti — scrisse a don Calabria — con la «malvagia attitudine di alcuni compatriot­i romeni, frammasson­i ed agenti comunisti» che non lo perdevano di vista. Il resto è noto: don Calabria è stato canonizzat­o, il metropolit­a Visarion aspetta lo stesso riconoscim­ento come martire della fede. E l’ecumenismo? A Maguzzano, accanto all’ostensorio, resta la scritta con le parole del Vangelo di Giovanni: ut unum sint, «Perché siano una cosa sola».

Il religioso fu ospitato da don Calabria dal 45 al ‘47. Nuove carte della Securitate

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Nel verde L’abbazia di Maguzzano, nell’entroterra del Garda, è immersa nel verde. Oggi l’abbazia è retta dai Poveri servi della divina provvidenz­a

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