Renzi: «Siamo l’unica diga ai populisti Grillo e Salvini»
Il leader Pd ieri a Brescia a tutto campo su profughi, crescita, Europa
L’ars oratoria di Matteo Renzi è fuori discussione. Sa come tenere costantemente alta l’attenzione. E non è cosa da poco, con un’età media che ieri — alla festa del Partito democratico, a Botticino — non era certo bassa. Ma il suo obiettivo, a meno di 12 mesi dalle elezioni, è soprattutto quello di marcare la differenza politica tra il Partito democratico e i suoi competitor: Cinque stelle e la Lega di Salvini.
Grillo «propone il reddito di cittadinanza: è la sua ricetta. Ma questa — dice — è una Repubblica fondata sul lavoro, non sui sussidi e sull’assistenzialismo». Quello che serve, secondo lui, sono «le occasioni di sviluppo». E invita tutti a guardare «avanti» (non a caso il titolo del suo libro, presentato ieri) e a «lavorare insieme» per far ripartire il Paese.
L’altro sfidante è Matteo Salvini, che della battaglia contro l’immigrazione ha fatto la sua bandiera. Renzi rivendica la frase detta poco tempo fa («aiutarli a casa loro»), che aveva creato polemiche. E a chi lo accusa di inseguire il Carroccio, lui risponde che «il Pd, a differenza di Salvini, lo fa davvero di aiutare i migranti, con gli investimenti di Eni e Enel» in Africa. Il tema richiedenti asilo scalderà la futura campagna elettorale. E Renzi marca la distanza dagli altri leader: «quando poi si è in mare — dice — si cerca di salvarli tutti». Valori cattolici e real politik, il segretario nazionale del Pd vuole tenerli insieme. Lui stesso riconosce che «per l’Italia c’è un numero massimo» di migranti che possono essere accolti. Come dire, la logica non è tra respingerli in mare e accoglierli tutti: serve un giusto mezzo. E tuttavia il segretario non rinuncia alle scelte politiche, destinate a far discutere: «lo ius soli è una battaglia di civiltà, per integrarli». È questa, secondo lui, la chiave di volta di una gestione possibile dell’immigrazione. «Decenni fa si aveva paura degli albanesi. Oggi — dice — è tra le comunità più integrate».
Il leader democratico, che a Botticino ieri è arrivato stringendo mani e regalando energia, si è presentato svelando anche i suo tratti più umani: l’esperienza politica, per lui, non è solo risultati e leggi approvate, ma anche il tentativo (o il sogno) di far ripartire il Paese. Ma le dimissioni post-referendum lo hanno portato anche a fare dei mea-culpa: «è stato un errore far passare l’idea che fosse facile» ottenere dei risultati. «Invece è difficile, ma io credo ancora sia possibile» è il leit-motiv, con cui scalda la folla. Prova a infondere speranza.
Certo, Renzi riconosce che forse troppe volte si è presentato usando «i 140 caratteri di Twitter», eppur di slogan non può restare a digiuno: «un euro in cultura — ha detto ieri —è speso bene come un euro in sicurezza».
Difende il suo premier e sostiene che Paolo Gentiloni sta lavorando bene, fare polemiche sarebbe inutile. Per lui, l’importante è che passi il messaggio che il Partito democratico è «l’unica diga contro il populismo: siamo la sola alternativa a Salvini e Grillo».
I Cinque stelle sono considerati degli inconcludenti, mentre dal leader della Lega Nord Renzi non ha alcuna intenzione di «prendere lezioni di moralità». Ma nella sua presa di distanza dal Carroccio il leader Pd ieri ha fatto anche dichiarazioni infondate, biasimando la stampa che non avrebbe dato spazio (come invece ha fatto) alla condanna per truffa di Bossi («non c’è un giornale che ne abbia scritto»).
Renzi prova a ricaricare il suo popolo. Sa che gli ultimi sondaggi danno in vantaggio il centrodestra unito («ma Lega e Berlusconi si fidanzeranno?»), perciò fa capire che il centrosinistra ha la forza e il programma per vincere ancora: «io sono orgoglioso di essere italiano — ha detto ieri — ma sono anche europeista». Bruxelles però deve cambiare, secondo il segretario Pd, iniziando a collaborare sul tema profughi: «o l’Ue apre le porte e collabora — sono le sue parole — o noi chiuderemo i rubinetti» dei finanziamenti.
L’austerity è per Renzi una rotta sbagliata che ha bloccato la crescita del Paese: il segretario rivendica la riduzione del deficit ma sottolinea che investimenti e spesa pubblica non possono essere azzerati. Poi chiude provando a smorzare il referendum indetto da Roberto Maroni, a ottobre: «sono un sostenitore dell’autonomia lombarda, quella della Lega — ha detto Renzi — è pura propaganda». E pur senza alcun riferimento al candidato in pectore Giorgio Gori, il segretario nazionale dei democratici fa un grande «imbocca al lupo al Pd lombardo» per le prossime elezioni.