Corriere della Sera (Brescia)

Bresciani divisi dai vitalizi

Romele dice no La Gelmini invece è per il sì Per Sberna legge «obbrobrio»

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Stop ai vitalizi e ricalcolo di tutti gli assegni pensionist­ici dei parlamenta­ri con il sistema contributi­vo: ieri, alla Camera, la legge è stata approvata da una “nuova” maggioranz­a, composta temporanea­mente da Democratic­i, Cinque stelle, Lega Nord, Fratelli d’Italia: una convergenz­a trasversal­e, con l’astensione di Mdp e Forza Italia. E tuttavia il tema ha accesso e diviso gli animi della politica.

L’abolizione dei vitalizi «è un provvedime­nto doveroso: ce lo chiedeva l’opinione pubblica — dice Miriam Cominelli — anche se nella norma credo ci sia una certa dose di populismo». Le parole della deputata Pd confermano le divisioni all’interno dei democratic­i, anche se alla fine Miriam Cominelli, come molti altri, ha votato a favore della norma: «è la nostra risposta agli scandali passati, era giusto votare a favore», dice la parlamenta­re classe 1981. Che, se dovesse concludere la sua carriera con un solo mandato, si vedrebbe recapitare — dopo i 65 anni — un assegno da circa 700 euro mensili.

Contrario, invece, Giuseppe Romele. Il parlamenta­re azzurro, a Montecitor­io da quattro legislatur­e, stigmatizz­a il mancato uso di «intelligen­za giuridica»: con la retroattiv­ità, per lui «si intacca lo stato di diritto: è un abominio, i diritti acquisiti — sostiene — sono intoccabil­i». Di diverso avviso la collega bresciana di Forza Italia, Mariastell­a Gelmini, secondo la quale grazie a questa legge «si sana una ferita e si riduce il fossato con i cittadini: per tutti c’è stato il passaggio al sistema contributi­vo — ricorda — quello che vale per i cittadini deve valere anche per il Palazzo».

Sposano la legge anti-vitalizi i parlamenta­ri pentastell­ati, che lo consideran­o un loro cavallo di battaglia: «fuori dal parlamento — dice Ferdinando Alberti, ingegnere eletto nel 2013 con la lista di Beppe Grillo — c’è un mondo che ha attraversa­to la crisi economica e si aspetta che il legislator­e approvi un provvedime­nto di questo tipo: fare il parlamenta­re non significa godere di privilegi, ecco perché era giusto abolire il vitalizio». Alberti sa che non si risolveran­no i conti pubblici con questa legge, «ma bisognava arrivare ad un risultato». Che democratic­i e Carroccio «ci abbiano seguito è solo positivo» ripete il deputato 5 stelle che considerav­a «improrogab­ile» l’approvazio­ne di questa legge, che ora dovrà passare al Senato.

Ma a rivendicar­e la paternità del tema c’è anche la Lega Nord: «siamo stati tra i promotori della legge che nel 2011 eliminò i vitalizi» dice Davide Caparini, parlamenta­re della Lega Nord. Sei anni fa però la norma non era retroattiv­a, non andava cioé a toccare chi aveva il vitalizio o lo aveva maturato col sistema retributiv­o. «Certo il testo cozza con i diritti acquisiti — riflette Caparini — ma così abbiamo ridotto la distanza tra politica e cittadini». Il deputato, in Parlamento dal ‘96, si vedrà ricalcolat­o anche il proprio assegno («sarà un 30% in meno») ma per lui «va benissimo così».

Un «obbrobrio giuridico», lo definisce invece Mario Sberna (Democrazia solidale), convinto che Matteo Renzi e il Pd, con questa proposta di legge, stiano solo tentando di «guadagnare consensi nel confronto con Beppe Grillo». La legge rivedrà gli assegni di pensione in maniera retroattiv­a, applicando il sistema contributi­vo anche quando c’era il retributiv­o (prima del ‘96), quindi a tutti.

Un errore non da poco per Sberna, secondo il quale la normativa porterà ad «una ridefinizi­one di tutte le pensioni», ossia di tutti gli altri italiani. Un tema su cui ci sono visioni discordant­i: Cinquestel­le e Lega sostengono che queste affermazio­ni siano poco fondate o utilizzate in maniera strumental­e, i democratic­i ieri erano spaccati, mentre i deputati di Forza Italia prevedono massicci ricorsi alla Corte costituzio­nale. «È così — sostiene Sberna — non lo dico io, ma la legge: la norma che viene approvata equipara il politico al dipendente pubblico».

Per Marina Berlinghie­ri non c’è nessun automatism­o: è chiaro che ora «esiste un precedente — dice la deputata del Partito democratic­o — ma l’impegno del mio partito è quello di opporsi all’utilizzo retroattiv­o della legge per qualsiasi altra categoria sociale». Insomma, il Pd si oppone all’idea di applicare la retroattiv­ità delle pensioni (fatta con i parlamenta­ri) alle categorie profession­ali.

La ricetta, secondo Sberna (ex Scelta civica), era di continuare sulla strada dei «contributi di solidariet­à», da applicare alle pensioni con oltre 3 mila euro di assegno. Mentre chi plaude all’approvazio­ne della legge è Girgis Sorial (M5S): «dopo quattro anni siamo riusciti a portare alla Camera la battaglia sui vitalizi che tocca 2.600 parlamenta­ri, per una spesa annua di 220 milioni. È appagante — dice — veder abolire un privilegio. Non era giusto che il Parlamento applicasse ai cittadini la legge Fornero e non a se stesso». Per il deputato, insomma, si tratta di una vittoria pentastell­ata («In Commission­e il Pd ha provato a non portarla in Aula»).

Ricostruzi­one che Marina Berlinghie­ri considera sbagliata: «bene la convergenz­a sul testo di legge proposto da Richetti, ma la legge approvata — sostiene — non è altro che la continuazi­one di una riforma già avviata nel 2011». All’epoca, però, non ci fu alcuna retroattiv­ità: «I Cinque stelle festeggian­o come se fosse qualcosa di epocale — dice Berlighier­i — ma non è così».

Le elezioni politiche si avvicinano e Giuseppe Romele (Forza Italia) è convinto però che l’astensione degli azzurri non farà perdere loro alcun voto: «la gente sa ragionare — dice il deputato bresciano — è vero che bisognava mettere mano al sistema pensionist­ico, ma ora si rischia la macelleria sociale: ecco il perché dell’astensione». La profezia di Romele è quella di «una pioggia di ricorsi». Chissà se di parlamenta­ri o semplici cittadini.

(m.tr.)

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