Bianchi e quel legame speciale con Brescia
Irapporti tra Giovanni Bianchi, scomparso l’altro giorno a 78 anni, e Brescia passano anzitutto dalle Acli, a partire dai difficili anni Settanta, quando Giovanni divenne presidente regionale del movimento che, nella nostra provincia, era guidato da Beppe Anni, storico rappresentante dell’ala sinistra in quel periodo di contrapposizioni politiche ed ecclesiali. Dopo che il gruppo di Anni andò in minoranza, il rapporto tra Bianchi e i nuovi dirigenti divenne più teso, pur nella stima e nell’amicizia. Si pensi al congresso provinciale del 1978, con una ruvida discussione con l’allora presidente bresciano Sandro Albini, sull’identità cattolicodemocratica delle Acli. Quei contrasti si superarono e nel 1984 Giovanni scelse proprio Brescia, il Centro Paolo VI, per il grande convegno di rilancio del popolarismo sturziano, segnando così il recupero di una cultura storica e politica che definì la cifra essenziale della sua presidenza delle Acli nazionali. Da qui nacque anche il suo riconoscimento della particolare funzione che Brescia ebbe nella nascita del cattolicesimo sociale e politico moderno, dalle grandi dinastie dei Montini e dei Tovini, fino a Martinazzoli, di cui fu amico sincero e che lo volle fra i fondatori del nuovo Partito Popolare. A sua volta Giovanni, da presidente del partito, incoraggiò e sostenne la candidatura di Mino a sindaco della città. Il dialogo fra loro due non venne mai meno, anche nel momento in cui le rispettive analisi e scelte politiche diversero. Brescia è stata, per Giovanni, anche la città delle case editrici di ispirazione cattolica, la Morcelliana e la Queriniana: presso la prima Giovanni pubblicò dei libri importanti, fra i quali Dalla parte di Marta e Dopo Moro: Sturzo. La Queriniana era essenzialmente un punto di riferimento inevitabile per chi, come lui, coltivava studi teologici. Importante il suo legame di amicizia con Rosino Gibellini, che definiva, scherzando, un uomo diviso, teologicamente parlando, tra un cuore latinoamericano e una mente tedesca. Giovanni ebbe con Brescia un rapporto complesso e profondo, reso intimo dai tanti inviti nei paesi e in città a cui interveniva con quello stile e con quella passione che non dimenticheremo. Perché sì, le grandi idee, ma alla fine è lo spirito che rimane.