Corriere della Sera (Brescia)

La seduzione del coraggio di Paolo Crepet

- Nino Dolfo

In tempi di paura dilagante e ormai formalizza­ta, il coraggio è così raro da beccarsi il marchio di incoscienz­a. Ma forse, e proprio per questo, il suo carisma non viene meno, anzi suona la riscossa. Si intitola La seduzione del coraggio la conferenza di Paolo Crepet, psichiatra, scrittore, sociologo italiano nonché volto televisivo, che venerdì 15 settembre aprirà nell’aula magna dell’Università Cattolica di via Trieste gli incontri di Aspettando il concerto per le X Giornate.

Il coraggio è il tema ricorrente di molti pamphlet di Crepet ed anche il titolo di un libro che uscirà il 10 ottobre per i tipi di Mondadori.

Senza scomodare Manzoni e Don Abbondio, il coraggio non implica necessaria­mente gesta memorabili, appartiene anche all’epica oscura, quotidiana e umile, come dimostrano in letteratur­a i casi del capitano MacWhir di Conrad o lo Stoner di J.E.Williams.

«Certo, il coraggio è tante cose — sottolinea Crepet —. È, per esempio, la capacità di dire di no, di aderire ad una scelta di vita con coerenza. Da che mondo è mondo abbiamo cercato di essere più liberi e la libertà si misurava in termini di capacità di scelta. Oggi si sceglie purtroppo sempre meno, si è meno liberi. Il coraggio è anche questo, nel decidere il proprio destino. Un altro esempio, il coraggio di bocciare in campo pedagogico. La bocciatura è stata abolita, quasi avessimo paura di smarcarci rispetto agli idioti. La bocciatura è invece un atto di considecom­pagnia. razione della bravura. C’è qualcuno che è più bravo di te, dunque apprezziam­olo, o no?. Se si toglie questo discrimine, siamo tutti da sei meno meno e questa è allora una società terribile».

Lei sa che rischia di essere impopolare, dicendo queste cose nell’epoca del politicame­nte corretto?

«Lo so e me ne faccio una ragione, anzi sono in buona Lei in questo momento mi trova ad un convegno con Ernesto Galli Della Loggia e ricordo che proprio lui la scorsa primavera fece un paginone sul Corriere proprio su questo argomento. Il fatto che nessuno bocci più nessuno è un dramma italiano».

Il vero problema del coraggio è che non è un’idea, ma un atto. E i fatti costano, hanno un altro peso.

«Vero. Però non esiste solo il coraggio delle azioni, ci vuole anche il coraggio dell’immaginare. Prendiamo gli architetti. Il grande architetto non è quello che fa il progetto, l’invenzione iniziale, ma quello che persevera, che ha il coraggio di mantenere l’idea primaria in tutti gli anni a seguire, perché diventi realtà. E poi c’è il coraggio di smettere, cosa difficile e rara. Mi trovi lei una persona che a un certo punto dice arrivederc­i e grazie, abbandonan­do scena e carriera. Ho avuto la fortuna di incontrare e intervista­re per questo mio ultimo libro Sylvie Guillem, grandissim­a ballerina francese che ha lavorato con Nureyev, Bejart, William Forsythe e Mats Ek. Ebbene, la Guillem, due anni fa, a cinquant’anni, ha appeso le scarpette al chiodo all’acme della sua parabola di étoile. Mi ha detto: quando le tue aspettativ­e nei confronti di te stessa sono pari alle aspettativ­e del tuo pubblico, quello è il momento di smettere. Ecco, sembra un paradosso, ma lo trovo bellissimo. Dire no prima che inizi la discesa, prima che il tuo corpo ti mandi un messaggio. Ci vuole coraggio».

E oggi ci vuole forza d’animo anche ad alzare lo sguardo dagli schermi digitali. Lei lo scorso anno ha scritto un libro (Baciami senza rete, Einaudi) rivolto ai giovani che comunicano attraverso un device e non vivono più i sentimenti e le relazioni sociali.

«L’orizzonte è stato inventato dalla natura per essere osservato. L’esperienza vale molto di più della conoscenza virtuale. Voglio evitare i toni apocalitti­ci, la fin troppo facile demonizzaz­ione del lato oscuro dei nuovi media e sottolinea­re invece contraddiz­ioni ed effetti collateral­i della tecnologia. I giovani vanno educati alla responsabi­lità della fruizione. E l’educazione implica sempre un atto di coraggio. Finché c’è pensiero, c’è dignità. Finché c’è il coraggio di inquietars­i, c’è libertà».

«Si sceglie meno, così siamo meno liberi. La libertà si misura in capacità di scelta» Uscire di scena Serve coraggio anche per dire di no e uscire di scena prima che inizi la parabola discendent­e Inquietudi­ne Finché c’è pensiero c’è dignità, finché c’è il coraggio di inquietars­i c’è libertà

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Torinese Paolo Crepet, psichiatra, è nato a Torino il 17 settembre 1951

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