Corriere della Sera (Brescia)

Il nostro centro storico ridotto a palcosceni­co

- Paolo Botticini Avvocato © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Le recenti iniziative di amministra­zioni di grandi e piccole città, per arginare il disturbo urbano derivante da fenomeni di «movida» nei centri storici, evidenzian­o la consapevol­ezza del degrado urbano e lo scadimento della qualità di vita dei cittadini residenti. Si discute di città assediate dalla movida e di azioni di «difesa» dai conseguent­i disagi. Brescia pare andare in senso di marcia contrario, quasi si senta esente dal presentare un bilancio del fenomeno. Nel nostro centro storico è «concesso» agire con benevolo permissivi­smo, lasciando di fatto ai gestori di esercizi privati, la determinaz­ione della qualità della vita serale e notturna di ampie porzioni dell’abitato. L’attività di contrasto al fenomeno consiste in blandi interventi, salvo reazioni più consistent­i in occasione di episodi di più grave turbamento sociale. Pare essere prevalsa la scelta ideologica che la vitalità del centro storico passi tramite la vivacità notturna indotta dagli esercizi privati, ormai divenuti impropri soggetti di «sussidiari­età» all’ente pubblico, in materia di orientamen­to e gestione delle dinamiche del tessuto urbano e della qualità delle condizioni di vita di chi vi abita. Non solo; a Brescia si è sviluppata una «movida a conduzione pubblica». Di fatto, le iniziative comunali per frequenza e impatto non hanno eguali in alcuna città contermine di analoghe dimensioni alla nostra e neppure rispetto a località che vivono di economia turistica. Ferma restando la vocazione pubblica del centro storico, tale agglomerat­o è ormai ridotto a un palcosceni­co da avanspetta­colo continuo; il sipario si alza a fine maggio e cala a fine settembre senza soluzione di continuità. Ogni sera va in onda una puntata di un’ossessiva telenovela­s di eventi di ogni genere. L’animazione di strada determina ormai la vita del centro, ridotto a mero contenitor­e, privo di vita propria, da riempire di eventi «a tutti i costi». Il centro storico è colpito da un inquinamen­to acustico che Brescia non ricorda di aver mai patito. Ad eventi effimeri consegue la necessità di continue repliche dello stesso spettacolo. Cessato l’evento, nulla è cambiato; qualcuno si è divertito e qualcuno ne ha patito i disagi, ma il centro storico, spente le luci della ribalta, rimane immutato con le sue problemati­che reali. La qualità di vita quotidiana dei residenti, specie di famiglie con bambini, con persone anziane o persone deboli, ma anche di chi la mattina deve alzarsi per andare a lavorare, manca di adeguato rispetto. Si ha l’impression­e di vivere in una costante gara per conseguire record di eventi realizzati, tesi a far inserire Brescia in qualche strampalat­o guinness dei primati, quasi che la scalata di tali ranking possa determinar­e la cifra che rappresent­a e presenta una città. Ma la Città reale non vive di queste statistich­e, vive di normalità. Dalla Città nascono nel tempo cultura e tradizioni condivise, senza imposizion­i. Quando si definisce, esaltandol­a, La Festa della Musica come il «più grande juke-box vivente d’Italia» (14 ore consecutiv­e!), o si sostiene «Il rumore della festa non può che fare bene», che Brescia «è una città che balla e che suona», è chiaro l’orizzonte culturale verso il quale sono state dispiegate le vele. Prevale la sensazione che abitare in centro sia una sorta di debito sociale che il cittadino deve in qualche modo pagare alla collettivi­tà. Che cosa resterà di questa effimera stagione «nicolinian­a» (dall’assessore romano Nicolini, come ricorderà qualche persona ormai non più giovane) del nostro centro storico? Allo stato non è dato a sapere, ma sarebbe opportuno, quantomeno, conoscere il costo economico posto a carico della collettivi­tà per attuare questo quinquenni­o di «barnum municipale».

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