Il lato oscuro di Shakespeare È
encomiabile la generosità di Shakespeare, che non centellina ma eroga. Sempre una garanzia, un autore totale. Anche «I due gentiluomini di Verona», testo giovanile e poco frequentato, è un arsenale di figure, archetipi, ipotesi narrative, soluzioni drammaturgiche. Una commedia acerba ma già laboratorio, fondata su una struttura binaria. Sono due i gentiluomini, le donne innamorate, le città, gli anelli, i mondi (da una parte l’alta società con i suoi ideali cortesi, dall’altra i servi che traducono i sentimenti in terragna fisiologia, come dire romantici contro bassoventriloqui). Una commedia non d’amore ma sull’amore giovanile, che non è sempre e solo «salute lucente» (Ungaretti dixit) ma anche motore di invidie e inganni. Valentino e Proteo sono amici d’infanzia, ma la loro fratellanza è a rischio da quando condividono la passione nascosta per la stessa donna, Silvia, la figlia del duca di Milano. Proteo, che poco prima aveva giurato fedeltà a Giulia, è in realtà un viscido mestatore che gioca una partita sporca pur di mettere fuori gioco l’amico. Complotti, slanci e ritrosie, tradimenti, travestimenti fino al momento della verità che placa la turbolenza, solo che il lieto fine è solo una cura palliativa, perché perdono non vuol dire assoluzione e il passato non si cancella. Commedia sull’amore, si diceva. Sì, ma anche sull’onestà verso noi stessi e gli altri, sui riverberi politici delle dinamiche umane che Shakespeare osserva con ironia acidula (è l’ambiguo Proteo il più affine alle logiche del potere, mica il magnanimo Valentino, e i masnadieri della foresta vengono riabilitati, forse come truppe regolari). La regia di Giorgio Sangati riesce a liberare la straordinaria energia narrativa del testo, assecondato da una compagnia che ha l’argento vivo nelle vene. Lo spettacolo, prodotto dal Ctb con Teatro Stabile del Veneto, replica al Sociale fino al 5 novembre.