Il miracolo della Scalvenzi compie trentacinque anni
All’evento anche il ministro Poletti: «Un modello che funziona»
È un modello economico e sociale che funziona e che si può copiare. È il miracolo della cooperativa Nuova Scalvenzi, a Pontevico, arrivata al traguardo dei 35 anni e a 10 milioni di fatturato. A festeggiare la coop rilevata dai dipendenti anche il ministro Giuliano Poletti.
Il ministro Giuliano Poletti arriva a Pontevico e qualcuno gli offre un giro di prova sullo scooter elettrico Me, tra i prodotti di punta della Scalvenzi. Subito il rettore del dicastero del lavoro tocca con mano la genuina caparbietà che anima l’azienda bassaiola che quest’anno arriva a 35 anni di attività, sottoforma di cooperativa, celebrati ieri nei reparti produttivi. «Il nome Scalvenzi per me non è nuovo – precisa Poletti – vengo da una famiglia contadina e da ragazzino guidavo un trattorino (fatto con due longheroni della ferrovia, il differenziale di un camion tedesco della guerra e un pezzo di ferro al posto del sedile) che trainava un rimorchio Scalvenzi».
Il ministro evidenzia la voglia di fare che ha caratterizzato anni difficili, interpretando lo stesso spirito che ha portato la Scalvenzi ad avere oggi 10 milioni di euro di fatturato, 16 soci lavoratori, 6 soci sovventori e 10 dipendenti. La cooperativa nasce nel 1982, sulle ceneri di una tradizione centenaria nella produzione di macchinari agricoli, perpetuata nelle generazioni dagli Scalvenzi. Alla fine degli anni ’70 la crisi del settore aveva investito l’azienda che «a quei tempi produceva 2.600 macchine all’anno ed era leader in Europa», ricorda Enrico Apolli, primo presidente della cooperativa. All’improvviso cambia tutto. Le banche tolgono la fiducia all’azienda. Il patron Gerardo Scalvenzi si suicida. «Dovevamo cercare qualcuno che facesse funzionare la fabbrica». La lotta per la Scalvenzi (110 dipendenti) si trasforma in un presidio durato 500 giorni. «Ci urlavano che eravamo dei lazzaroni. I giornali titolavano “Con la Scalvenzi muore un pezzo di Pontevico”». L’idea dei lavoratori di prenderne le redini (anticipando i fondamenti della legge Marcora) prende corpo e davanti al liquidatore vengono messi risparmi e tfr per riscattare impianti e strutture. Il progetto prende corpo anche con la creazione di una società finanziaria e un’immobiliare. Una follia con un suo metodo, ricorda Felice Scalvini, tra i curatori del passaggio epocale. Nasce la cooperativa Nuova Scalvenzi – sedici i fondatori – riconvertita poi nel settore ambientale con l’acquisto della Tecneco (il sistema MCU per l’ottimizzazione della raccolta differenziata è il fiore all’occhiello). «La cosa più difficile è stata gestire il doppio ruolo di imprenditori e lavoratori». Dal ministro ai rappresentanti di Lega Coop e Confcooperative, fino ai sindacati, tutti concordi nell’individuare nella Scalvenzi, oggi guidata da Nanni Pagnoni, un modello di sviluppo industriale, economico e sociale che funziona. «Allora era un modello innovativo, ora questa storia, con tutti gli strumenti di oggi, ci insegna che è possibile fare impresa in modo responsabile» evidenzia Poletti. La prova: «A bilancio risulterà una redditività ridotta perché abbiamo rinunciato a un po’ di produttività per tutelare qualche posto di lavoro in più» spiega Pagnoni.