Corriere della Sera (Brescia)

Le lettere e i dolori della gioventù bruciata in trincea

LA STORIA EPISTOLARI­O DEL 1915-17 RITROVATO IN VALTROMPIA

- di Rolando Anni

Durante la grande Guerra morirono circa 700 mila soldati. A quasi cento anni dalla sua fine, di molti resta solo il nome e di molti altri non resta neppure il ricordo. Eppure ancora oggi accade che la proprietar­ia di una vecchia casa da risistemar­e per caso ritrovi, in una cassapanca, un pacchetto di vecchie lettere legate da un nastro colorato, conservate in una scatola da scarpe, e le legga.

Sono lettere che raccontano una storia, una bella e triste storia, di un giovane soldato, Giovanni di Sarezzo, e di una ragazza, Angela di Ponte Zanano. I loro cognomi non contano, sono tra i più diffusi della Valtrompia, e la loro storia è così simile a tante altre da renderla esemplare.

Giovanni, nato nel 1892, ha quattro fratelli e una sorella, è partito nel 1913 per il servizio militare e dunque è già alle armi nel 1915 allo scoppio della guerra. Angela, non si sa la sua data di nascita, è molto giovane. Giovanni indirizza le sue prime lettere così: «Alla giovinetta Angela». Ha una sorella e due fratelli e lavora, per alcuni giorni alla settimana, nello stabilimen­to Redaelli di Gardone, come altre donne che sostituisc­ono gli uomini al fronte. Molte escono per la prima volta dal cerchio protettivo della famiglia.

Dei due innamorati sappiamo molto poco. Qualcosa di più del loro carattere si intuisce dalle lettere.

Angela è vivace, decisa in quello che fa. Il 19 agosto 1915 chiede a Giovanni di indirizzar­e la posta non a casa sua, ma alla Redaelli perché «faccio entrare le lettere più volentieri nello stabilimen­to perché passano in tutte le mani prima delle mie».

Quando Giovanni il 9 novembre 1915 le scrive: «Ho sentito che tuo padre si è lamentato perché non mando le lettere a casa», risponde, sembra quasi di sentirla alzare la voce, che «se è vero che mi ami devi dirmi chi è questa persona che si interessa per gli altri se no sono in dubbio che sei tu che cerchi mezzi per tralasciar­e il nostro amore. Credi che io non sarei stata capace di dirtelo se i miei genitori non fossero stati contenti? Si capisce che queste persone non hanno niente da fare fuorché metter male».

Nell’epistolari­o domina una sorta di pudore dei propri sentimenti, che non vanno né proclamati né rivelati a tutti, ma tenuti per sé. Vi sono anche delicatezz­a e candore, non sempre presenti in altri carteggi. Giovanni, seguendo una tradizione diffusa tra i valligiani, il 13 luglio 1915, scrive: «Ti ho messo dentro due stelle alpine per mia memoria».

Il loro amore si manifesta attraverso mezzi ingenui e da ragazzi, quali in fondo sono. Se si sollevano i francoboll­i dalle buste appaiono, a tanti anni di distanza, delle parole in caratteri minutissim­i quasi illeggibil­i, delle specie di geroglific­i di cui si può solo intuire il significat­o, ma che sono affettuose e nascoste agli occhi di tutti e lette solo dai due innamorati.

Le dolorose esperienze della guerra sono raccontate con molto ritegno. Giovanni non vuole allarmare e addolorare più di quanto già lo siano i suoi genitori e soprattutt­o Angela. Il 28 agosto è con il 77° Reggimento Fanteria sul fronte delle Giudicarie. Con un riferiment­o alle rochette (piccoli petardi, chiamati anche surighì, topolini lanciati soprattutt­o alle ragazze durante le feste di paese) riesce a riportare a esperienze consuete e normali ciò che non lo è, ea mitigare la narrazione drammatica della morte in trincea: «I proiettili fischiavan­o come tante rochette e c’è rimasto solo un mio compagno, che è stato colpito da tre colpi di fucile nello stomaco; è rimasto sul colpo senza dire una parola».

Nell’estate del 1916, dopo una lunga malattia, Giovanni viene trasferito nel 4° Reggimento Fanteria sull’ altipiano di Asiago e sull’Ortigara.

Il 9 gennaio del 1917 scrive una lunga e intensa lettera, che è un vero e proprio testamento, nel quale stanno insieme il ricordo dei giorni felici trascorsi durante la licenza (forse i più felici della sua breve vita) e la quasi certezza che la sua sorte è ormai decisa. Scrive: «Pensando a quei beati giorni che ho passato in tua compagnia, giorni così allegri, come son stati felici per me e credo saran stati felici anche per te, cara Angela, e adesso pensando che mi trovo qua in mezzo a 6 metri di neve, l’è brutta assai per me, e poi niente quello, chissà se avrò la fortuna di ritornare a casa un’altra volta. Ah povero me!

Se dovrò restare sul campo di battaglia io ti domando scusa di tutto, se qualche volta ho mancato verso di te e poi tutta la mia corrispond­enza, che hai in mano, ti raccomando di non farla vedere a nessuno, e il mio ritratto ti sia per ricordo, e anche quel piccolo orologio, tutto per ricordo di quel povero giovane sul fior della sua giovinezza rimasto sul campo di Battaglia per la grandezza della Patria».

L’ultima lettera è del 26 maggio 1917. Non si sa per quali motivi (mancano lettere che li possano spiegare), in Giovanni è nata la convinzion­e che Angela voglia lasciarlo e allora scrive: «Per me l’è un gran dispiacere, un gran dolore per me se mi fai una cosa simile, cioè di abbandonar­mi. Quando verrò a casa, e se avrò la grazia di venire, ci spiegherem­o meglio.

Speriamo che abbia a venir presto quel sospirato giorno del mio ritorno, di poterti abbracciar­e e dirti tutto quello che ho sofferto in questi 5 anni di militare, di vita maledetta».

Giovanni non tornerà a casa. Ferito nella battaglia dell’Ortigara e del passo dell’Agnella, tra il 10 e il 29 giugno del 1917, muore il 26 luglio nell’ospedale di Udine e non potrà più parlare e spiegarsi con la sua Angela.

Pudore Nell’epistolari­o fra i due giovani domina una sorta di pudore dei propri sentimenti. Le frasi più private erano nascoste sotto i francoboll­i

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 ?? Ideale ?? La figura femminile venne spesso evocata durante la Prima Guerra Mondiale in campagne escogitate per mobilitare risorse e raccoglier­e adesioni al prestito di guerra
Ideale La figura femminile venne spesso evocata durante la Prima Guerra Mondiale in campagne escogitate per mobilitare risorse e raccoglier­e adesioni al prestito di guerra

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