Corriere della Sera (Brescia)

I MORTI E I SANTI PER I NON CREDENTI

- di Ilario Bertoletti

Osservando l’intensità e la mestizia delle visite di questi giorni ai cimiteri, indipenden­temente dall’essere o no credenti, vengono alla mente le parole di Marcel Proust, il quale proprio nei suoi ultimi giorni confessava a un amico: «La mia Ricerca del tempo perduto è una lunga esplorazio­ne, un viaggio, non attraverso lo spazio, ma attraverso l’animo umano. Uno sforzo per accedere in quella regione dove tutto sarà comunicabi­le, dove noi potremo vedere non tanto un altro mondo – non sono certo infatti che esista – ma questo mondo qui con gli occhi di un altro, di cento altri, di vedere i cento altri universi che ognuno è. Noi entreremo allora in quello stato di grazia a cui alludono i Padri della Chiesa quando parlano di Comunione dei Santi». Parole che non solo illuminano l’opera di Proust, ma possono aiutare a ritrovare tracce di esperienza religiosa – e di significat­i teologici – dove meno te l’aspetti. Di fronte alla situazione limite della morte – con le domande: e dopo? Cosa resta? Tutto va perso? – la memoria, anche involontar­iamente religiosa, soccorre per dare un orizzonte di senso all’esistenza terrena. È il caso della dottrina della «comunione dei santi».

Accolta come articolo di fede nel Credo apostolico del V secolo dopo Cristo, questa dottrina – scrive il teologo Karl Rahner – esprime la comunione, nella celebrazio­ne eucaristic­a, nella fede con Cristo e tutti i credenti. I santi, coloro che per la loro azioni appartengo­no al popolo di Dio, sono esempi di vita che trascende quella terrena. E oggi, per noi uomini disincanta­ti e secolarizz­ati, per i quali non valgono i vincoli del sacro? Quale esperienza facciamo recandoci davanti a una tomba, leggendovi un nome e riattivand­o l’eco di una voce con la sua catena di affetti?

Non sperimenti­amo il significat­o profondo della dottrina della «comunione dei santi», trasformat­asi da articolo di fede in presagio che in quei nomi incisi sulla pietra la memoria vince l’oblio profondo della morte? E la stessa immagine del nome come custode del volto di un’anima, non è essa stessa biblica, essendo il nome l’atto primo con il quale Dio ha creato l’uomo? Come a dire, il senso di queste feste, così partecipat­e, sta nell’essere segno visibile di ciò che continua a essere la religione: «religare», ciò che unisce e mette in comunione gli uomini, visibili e invisibili.

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