De Nieves, il signore del tempo sul filo (sartoriale) della memoria
Capelli indomabili, dita ingioiellate e stivaletti pitonati, la nuova ossessione dei collezionisti si muove in un disordine poetico, contaminando l’arte con la memoria e l’haute couture. Grovigli plastici di colore, forme esagerate, stoffe, sculture-pupazzo, scarpe usate e meteoriti di pietre cangianti. Dal suo studio di New York, Raul De Nieves, artista messicano diventato il capriccio di musei e gallerie patinate, ha portato a Brescia il suo universo onirico e prepotente: con le proprie opere ha preso in ostaggio APalazzoGallery (piazza Tebaldo Brusato). Il titolo della mostra allude al passato, e all’urgenza di trattenere il ricordo: «Who would we be without our memories?» (fino all’11 novembre). La visione nostalgica dell’artista, fatta di lacerti di carta, stoffe, feticci e reliquie lasciate sul pavimento, si diffonde in ogni centimetro della galleria, fino a trasfigurarne le vetrate con nastri, perline e foglie di acetato per nobilitarle ad arte. Nei colori urlati, nell’eccesso pop e nella fantasia mai paga, che trasuda poesia, c’è il ricordo del padre, morto a 33 anni, la stessa età dell’artista, che ha preteso di fissare la vernice della mostra nel giorno del suo compleanno: come fossero icone di un’esistenza passata, ma senza la cui memoria non si può più vivere. Alcuni lavori in galleria, ingombranti e famelici, arrivano dall’archivio personale di De Nieves. Altri — gli arazzi e le applicazioni alle vetrate — sono stati creati su misura per APalazzo, ispirati dalla suggestione della sale. Nel dialogo mai interrotto l’iconografia del passato e con le sue esperienze intime, autobiografiche e inquiete, De Nieves fa trapelare uno slancio vitale, denso di speranza.