GRANDE GUERRA, GLI STUDI PER IL CENTENARIO PARLANO AL NOSTRO OGGI
Caro Tedeschi non ne posso più di commemorazioni della Grande Guerra. Nel 2014 il centenario di Sarajevo, nel 2015 quello dell’entrata in guerra dell’Italia, quest’anno Caporetto, l’anno prossimo immagino Vittorio Veneto e il Piave mormorava… Possibile continuare a viaggiare con la testa rivolta al passato?
Lettera firmata Gentile lettrice, l’immagine da lei citata (viaggiare con la testa rivolta al passato) evoca il rischio di uno schianto. Proporrei un’immagine rovesciata: se non si guarda nello specchietto retrovisore in autostrada, non ci si accorge del Tir della storia che arriva alle nostre spalle con i freni rotti e vuole sorpassarci. Metafore a parte, Brescia è stata teatro di mille lodevoli iniziative per il centenario. Non tutte pubblicizzate, non tutte capite. Eppure tutte importanti. Una recente riunione del Comitato provinciale di coordinamento delle iniziative per il Centenario della Grande guerra ha fotografato la varietà di iniziative messe in campo da associazioni d’arma e Museo della Guerra bianca, Ateneo e Aab, Conservatorio e Impronta Camuna, Rete bibliotecaria e Faro Tricolore, per citare solo alcuni. Troppo? Tutt’altro. Brescia fu zona di confine, luogo di guerra e retrovie: senza conoscere quelle vicende non si capiscono memoria collettiva, balzo industriale, mutamenti del costume (l’emancipazione lavorativa femminile parte da lì…) e certi tratti topografici della nostra terra, dai sentieri di montagna ai forti in quota. In più, se non si parte da lì non si capisce nulla della guerra civile europea che durò un trentennio e assunse nuove forme (“fredde”) dopo il 1945. Per capire il tutto non si può prescindere dall’umiliazione che uno Stato vincitore (l’Italia) e uno sconfitto (la Germania) subirono al tavolo alle trattative di Versailles. Se ne trova una sintesi icastica nel bel libro «Fiume. L’anniversario che cambiò l’Italia» di Pier Luigi Vercesi (Neri Pozza). È più facile vincere una guerra che costruire la pace al tavolo delle trattative. I diplomatici lo sanno bene. Le vicende di cento anni fa ce lo dimostrano. Non mi pare una lezione scontata, soprattutto oggi.