Quel «mostro» della terza linea...
Apprendo dalla stampa che l’amministrazione comunale ha in animo, se riconfermata nelle prossime elezioni, di proporre ad A2A la chiusura della terza linea del TU (Termoutilizzatore).
A quanto pare, si confida di sostituirne parzialmente l’apporto termico attraverso accordi con acciaierie bresciane per il recupero del calore di risulta delle loro produzioni (come già sperimentato con l’Ori Martin) - e anche (particolare poco menzionato) con un maggiore utilizzo della centrale a carbone, e delle caldaie semplici a gas.
È sicuramente positivo il recupero di calore industriale, in linea con la tradizione virtuosa del Teleriscaldamento, che da quarant’anni riscalda le case di Brescia recuperando il calore di scarto della generazione elettrica (e da vent’anni impiega pure un combustibile che è anche lui di recupero, e al 50% rinnovabile). Non mi riesce però di capire con quale logica si pensi di utilizzare parziali recuperi di calore da imprese private per chiudere la terza linea del TU - che funziona da soli 13 anni con ottime prestazioni energetiche e ambientali - invece che per ridurre nella misura del possibile il funzionamento della centrale a carbone, vecchia di trent’anni e concepita in un’epoca in cui non era ancora all’ordine del giorno il problema della crisi climatica. Mi sembrerebbe pacifico, nel caso fossero davvero disponibili nuovi apporti di calore «virtuoso» per il Teleriscaldamento, ridurre prioritariamente l’impiego del carbone, che è più inquinante rispetto ai rifiuti e produce emissioni di CO2 due volte maggiori. E la stessa considerazione varrebbe nel caso che il fabbisogno di calore invernale dovesse diminuire in seguito ad una maggiore efficienza energetica degli edifici di Brescia serviti dal TR. Per quale motivo, allora, si prospetta come un traguardo ambientale positivo la chiusura della terza linea? Forse perché una campagna sgangherata e demagogica di demonizzazione del TU ha diffuso nella nostra città la leggenda metropolitana del «Mostro» inquinante e malefico? O per lo «scandalo» di un impianto che importa rifiuti da altre province? Chiudere un impianto che contribuisce al riscaldamento della città con energia al 50% rinnovabile, e con modesto impatto ambientale, sarebbe veramente paradossale per Brescia, che accoglie generosamente nelle sue discariche e nelle sue imprese di trattamento rifiuti (fra cui si possono annoverare a buon diritto le acciaierie e gli altri impianti di metallurgia da rottame) milioni di tonnellate di rifiuti industriali importati da ogni parte del mondo, con impatto pesante e duraturo sul territorio.
Sono questi i veri problemi ambientali di Brescia (peraltro ben noti all’Amministrazione) insieme al pregresso, dissennato consumo di suolo, all’impatto sull’aria del traffico motorizzato, alle acque superficiali e sotterranee avvelenate da scarichi industriali: ma la loro soluzione avrà tutto da guadagnare eliminando dal dibattito pubblico della città i problemi inventati.