Un epistolario consente di ricostruire l’epidemia del 1836 in città Vite ai tempi del colera
Nuove notizie sul colera del 1836 a Brescia. Saltano fuori, a quasi due secoli di distanza, e accrescono di interessanti particolari quanto già si conosce. Le sorprese stanno in 50 lettere inviate dal sacerdote bresciano don Gaetano Scandella (1794 – 1857) all’amico don Antonio Marco Udeschini (1794 – 1857), curato della parrocchia di San Biagio in Milzano. Don Udeschini era figlio di Bortolo, possidente del paese. E le lettere fanno parte di un carteggio — tremila manoscritti — messo sul mercato dell’antiquariato in blocco nel 2008. Il fondo comprende più di 750 lettere, scritte dallo Scandella, con grafia elegante e fitta, e circa trenta missive di don Udeschini.
Queste carte — inedite ancora per poco — abbracciano l’arco della dominazione austriaca in Lombardia. Sono quindi degli anni compresi tra il 1814 e il 1859. Sono invece felicemente stampate in un libro le 50 lettere che parlano del colera a Brescia nel 1836. L’opera curata dal penalista Alessandro Bertoli e da Alberto Vaglia, epidemiologo (Brescia 1836 Anno di colera nelle lettere di Gaetano Scandella, pag. 142, Ebs Print, Euro 20) verrà presentata lunedì alle 17 in Fondazione Civiltà bresciana. Il colera nella provincia di Brescia colpì mila persone. 11 mila i guariti; 10 mila i morti. Quanto alla città, che al tempo contava 31mila e 500 abitanti, 3.200 furono i colpiti e 1.600 i defunti. Il tutto fra l’aprile e la metà di luglio.
Le lettere scritte da don Gaetano Scandella all’amico sacerdote di Milzano entrano nei particolari dell’epidemia, ci dicono di uomini e famiglie scomparsi, ci offrono curiosità, ci parlano di sacrifici di medici e di religiose. Dietro le aride cifre ci sono gli uomini, travolti da qualcosa più grande di loro. Don Gaetano Scandella era un sacerdote letterato, autore di scenette per ragazzi degli oratori. Era vicino al fratello parroco di san Zeno al Foro. Amico di penna di don Udeschini, lo ragguaglia giorno per giorno di quanto avvenga. E lo fa da vero umanista. Eccolo ora elogiare la fatica dei dottori Giuseppe Bonizzardi e Gianbattista Morelli. «Girano incessantemente sul baghero per la città a curar malati».
Si commuove per il morbo che è entrato nelle case di mons. Gramatica della Cattedrale, del conte Valotti consigliere comunale, e che ha portato via il poeta Cesare Arici, la mamma del rettore del Seminario vescovile Tagliaferri ed il conte Carlo Maggi. Ma ha pietà anche per otto sconosciuti militari, per sette ignoti morti in Travagliato e tre campioni di tersiglio, gioco di carte che ricorda il tresette.
Ci fa poi conoscere notizie macabre: «Di sei piò di terra si allarga il Campo Santo per interrarci i morti dell’ospitale». E ancora: «Il Foppone (cimitero vicino a via Diaz, ndr.) si vende. E Passerini vuol ridurlo a filanda». Ci commuove poi ricordando donne del popolo in preghiera, nel quartiere del Serraglio, davanti alla santella della Madonna detta del colera. Ora la tela che raffigura la Vergine col bambino sta sul muro di palazzo Fenaroli in via Marsala. Ci fa sorridere infine riferendo che il Governo ha scritto al vescovo di pubblicare «l’indulto pei cibi grassi» nei giorni di magro.
Da cronista, forse di parte, aggiunge: «La maggior parte dei fedeli continua col magro nei dì di magro. Oggi pare più affollata del solito la Pescaria, e affollate le botteghe dei pescivendoli. Sembra quella concessione aver messo più voglia di mangiar di magro».
Infine altra notizia: «Gira per la città una botte d’acqua ogni mattina per lavare gli angoli delle strade che servono di cesso». Ci fa meglio capire cosa intenda Paolo Corsini, nella sua dotta prefazione, quando rimarca che il colera fece emergere i tratti salienti della questione urbana, dalle carenze di infrastrutture alle disuguaglianze economiche e sociali. Infine ci consola aggiungendo che la comunità locale trova nella solidarietà tra Municipio, responsabile della «pubblica solidarietà», e «pietà dei cittadini» le risorse morali per fronteggiare l’epidemia.
Il morbo in provincia uccise 10mila persone, in città 3.200 bresciani: in pratica uno su dieci Il carteggio Scandella Udeschini documenta le deroghe ai digiuni e la crescita dei cimiteri