Droga, pronti alle rapine in appartamento per finanziare l’organizzazione criminale
Braccio destro del vertice albanese la ex compagna di un uomo scomparso
Scrupolosi ma senza scrupoli. Perché per «finanziare» la loro organizzazione criminale, dedita al traffico internazionale di cocaina e marijuana, erano pronti ad «appaltare» furti e rapine in appartamento a complici sodali. Ma lo sapevano anche i carabinieri del Nucleo investigativo di Brescia che, ogni volta, «cinturavano le zone prese di mira e posizionavano le pattuglie vicino alle abitazioni» spiega il comandante provinciale, colonnello Luciano Magrini. «Non è giornata, dobbiamo aspettare, torneremo», dicevano loro. Grazie al cielo, e al lavoro dei militari, la «volta buona» non è mai arrivata. Volevano colpire a Orzinuovi, Rezzato, Iseo. E ci hanno provato a Maclodio, in maggio, all’ufficio postale («ai tre responsabili ci ha portato in un collegamento esterno, che per comprare la droga e saldarla subito aveva deciso di entrare in azione»): maldestri, hanno tentato la fuga schiantandosi in auto per mille euro.
È stata un’indagine «complessa e intensa» quella che ha portato i carabinieri non solo a macinare migliaia di chilometri, ma a «stroncare, speriamo definitivamente» un’organizzazione di albanesi, italiani e un senegalese che faceva girare tonnellate di marijuana e chili di cocaina rispettivamente dall’Albania (da Valona in gommone fino alle coste calabresi e poi in pacchi da 25 chili nei furgoni fino a Brescia e non solo) e dall’Olanda (in auto nei doppi fondi). Su richiesta della procura il gip ha emesso 19 misure cautelari — 17 eseguite, in due risultano ricercati — : 14 in carcere, due ai domiciliari e per tre è scattato l’obbligo di firma. In 16 rispondono di associazione a delinquere, 42 capi d’imputazione per spaccio.
Al vertice c’era lui: albanese, 38 anni e da almeno una dozzina in Italia, nessun precedente se non un paio di guide in stato di ebbrezza, di casa prima a Rovato poi in città, sposato con una donna (apparentemente) titolare di una ditta di autotrasporti in cui (altrettanto apparentemente) lavorava anche il marito. Solo una copertura, in realtà. Passava il tempo in un bar, «base» operativa per gli incontri con i sodali per organizzare carichi e consegne. Poi c’era lei, il suo braccio destro: Daniela Bognotti. Classe 1966 è nota alle cronache per essere la ex compagna di Roberto Bracchi, barista di Monticelli Brusati, scomparso nel nulla il 15 novembre del 2013, quando uscì di casa per alcune commissioni a Rovato: la sua Bmw fu ritrovata nella notte, in un parcheggio di Travagliato. Nell’abitacolo, residui di fango. Sul tappetino del conducente e nel bagagliaio: tracce di sangue rilevate con il luminol. Le indagini, di recente, si sono concentrate proprio sulle «conoscenze» di Bracchi e su un presunto giro di droga che lo vedrebbe coinvolto, come ammesso dal fratello Bruno (e dalla valigetta ritrovata a casa della madre con oltre due chili di marijuana e qualche grammo di coca): teneva un elenco, Roberto, pare gli dovessero migliaia di euro. E la mattina della sua scomparsa chiamò (invano) solo lei, che era pure socia in affari: Daniela.
Ma quest’ultima inchiesta, precisa il colonnello Magrini, «nulla c’entra e nulla ha portato in termini di indizi con la scomparsa di Bracchi». Certo è che a innescarla è stato proprio l’arresto di Daniela Bognotti. L’hanno fermata in maggio, al casello di Ospitaletto, insieme a un ragazzo albanese: in auto aveva un chilo di cocaina. Stavano rientrando dall’Olanda, del resto. E nei suoi confronti sono stati disposti (non a caso) i domiciliari, tanto che nei guai è finita di nuovo su misura cautelare (dieci in tutto, otto in comune con l’ultima operazione) a fine ottobre. Bisognava chiudere il cerchio: fatto.
I vertici viaggiavano per prendere contatti all’estero, salvo poi avvalersi di corrieri esterni. Appena sotto la vetta del potere c’erano i due gregari: fratello e nipote del capo albanese. Avevano carta bianca: l’uno per la gestione dei proventi, l’altro delegato allo smercio. A cascata: gli anelli di collegamento e i referenti internazionali in Albania e in Olanda. Gli spacciatori sul territorio — Brescia, ma anche Milano, Bolzano, Como e Ravenna — arrestati anche in flagranza, fino ai custodi e ai magazzinieri (a Gussago un sito di stoccaggio in cui sono stati sequestrati tre chili di coca). L’organizzazione pensava a tutto, anche a pagare le spese legali per chi finiva sotto processo. O a minacciare e aggredire gli spacciatori che non pagavano le forniture in tempo, «perché avevano talmente tanta droga a disposizione da potersi permettere di distribuirla in conto vendita», spiega il colonnello Oreste Gargano, a capo del Nucleo operativo. Erano pericolosi. «E dentro un sistema strutturato tassello per tassello». Fino a ieri.