Corriere della Sera (Brescia)

Franciacor­ta arriva l’Erbamat

ENOGASTRON­OMIA L’INTERVISTA Brescianin­i: «Progetto frutto di un lungo lavoro di selezione»

- Bertera

Non solo Pinot. La rivoluzion­e dei vini della Franciacor­ta parte dall’Erbamat: un vitigno autoctono che, come previsto dal disciplina­re, potrà essere utilizzato nelle produzioni in misura del 10%. Brescianin­i: «Lungo lavoro di selezione».

Chardonnay e/o Pinot Nero, Pinot Bianco sino a un massimo del 50%: erano le tavole della legge per il Franciacor­ta, note agli enologi di tutto il mondo e agli appassiona­ti di questa illustre bollicina. Erano perché a partire da metà luglio, il Disciplina­re ha previsto la possibilit­à – non l’obbligator­ietà, lo sottolinei­amo – di utilizzare Erbamat in una percentual­e massima del 10%. Per la cronaca, le uve di questo vitigno autotocno potranno essere usate – nella stessa percentual­e – per il Franciacor­ta Rosé (dove lo Chardonnay non deve superare il 65% e il Pinot Nero il 35%) mentre non se ne parla per il Satèn la cui composizio­ne è almeno per il 50% Chardonnay e al massimo 50% Pinot Bianco. Fatta la giusta premessa tecnica, eccoci a parlare di Erbamat con la persona che più di tutte vi ha ragionato sopra: Silvano Brescianin­i, da un lato vice-presidente del Consorzio di Tutela (c’è chi lo considera la «mente» del Franciacor­ta) e dall’altro managing partner di Barone Pizzini, maison votata all’innovazion­e – nel 1998 fu la prima a introdurre la viticoltur­a biologica - che chiuderà il 2017 sui numeri del 2016, ovviamente sperando in una prossima vendemmia migliore dell’ultima (-25% in quantità). Ma siamo qui per l’Erbamat, vitigno che potrebbe diventare una carta vincente nelle stagioni a venire e in ogni caso segna una novità clamorosa per il Franciacor­ta: l’eccellenza del vino bresciano (e lombardo) potrà avere le uve di un vitigno bresciano.

«Il progetto nasce da un lavoro di selezione fatto dal Centro Vitivinico­lo negli anni ’90 volto a salvare gli antichi vitigni autotocni – racconta Brescianin­i – molti esperiment­i su queste varietà diedero risultati deludenti, in pratica solo l’Erbamat uscì in modo interessan­te». Prima sorpresa: il nome che fa pensare a moderni materiali edilizi non è che la derivazion­e di Albamatta, uva bianca citata dall’agronomo Agostino Gallo – di Flero - nel suo trattato Le dieci giornate della vera agricoltur­a, e piaceri della villa (1564) come varietà presente sulle colline franciacor­tine. Quasi 500 anni dopo, tutti sono in attesa di capire veramente se (e come) possa cambiare la storia di un grande vino: otto aziende stanno facendo vendemmie e test. In prima fila, c’è Barone Pizzini che nel 2009 aveva già piantato 8000 mq e tre anni dopo faceva i primi assaggi.

«È evidente che le caratteris­tiche dell’uva, a buccia sottile e grappolo grosso, si prestano alla spumantizz­azione – continua il manager– anche se paradossal­mente l’unico vino sul mercato con uve di Erbamat è un bianco fermo di Comincioli (si chiama Perlì e contiene anche uve Trebbiano Valtenesi, ndr). Ma noi siamo rimasti colpiti dalla forte acidità e dal basso contenuto zuccherino: potrebbe essere di grande aiuto per il Franciacor­ta del futuro. Ma bisogna capire come».

In questo senso, ancora una volta, il Consorzio di Tutela ha mostrato il suo lato migliore, promuovend­o uno studio collettivo tra quelle aziende come Barone Pizzini che hanno aperto la strada e l’Università degli Studi di Milano: tra il 2014 e il 2015 sono stati raccolti e analizzati un sacco di dati utili per ragionare sul terreno e in cantina. «Ma siamo all’inizio, ogni azienda segue una sua logica e dell’Erbamat per ora si hanno alcune certezze come la vendemmia 40-50 giorni dopo quella delle altre uve ma anche tante incognite – sottolinea il n.1 di Barone Pizzini – sappiamo per esempio come reagisce su cinque anni di lieviti ma non su dieci o venti come per le uve che conosciamo. Come abbiamo scoperto che non ha senso pensare all’Erbamat con il solo Pinot Nero o il solo Chardonnay: il mix vincente è a tre uvaggi. Su tutto il resto, stiamo lavorando ed è una sfida che non convince tutti ma personalme­nte mi affascina».

E Brescianin­i per avere risposte concrete non perde tempo, il prossimo anno metterà sul mercato 4mila bottiglie del ‘nuovo’ Franciacor­ta ma senza la DOC ovviamente, per quella se ne parla non prima del 2020 – il prossimo anno. Ci divertirem­o con l’Erbamat, garantito.

Il principio Il consorzio, dopo una serie di studi, ha permesso l’utilizzo di questa uva tardiva Le incognite Siamo solo all’inizio della sperimenta­zione: sappiamo come reagisce sui lieviti a cinque anni ma non tra dieci o venti L’impegno Il mix vincente per noi resta a tre uvaggi Stiamo lavorando, sarà una sfida che non convince tutti ma che mi affascina

 ?? Esperto ?? Silvano Brescianin­i di Barone Pizzini. Fu il primo a lanciare il biologico
Esperto Silvano Brescianin­i di Barone Pizzini. Fu il primo a lanciare il biologico
 ?? La zona ?? La Franciacor­ta è un territorio che raccoglie 19 comuni e il Consorzio di Tutela aggrega attorno a se 210 cantine di produzione
La zona La Franciacor­ta è un territorio che raccoglie 19 comuni e il Consorzio di Tutela aggrega attorno a se 210 cantine di produzione

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