Assegni falsi e truffe: la banda paga conti pesanti
L’indagine condotta dai carabinieri di Artogne. Il capo sperava nella prescrizione
Non solo Rolex, gioielli e vino. C’erano dispositivi elettronici, macchinari, vestiti, e persino cuccioli di cane. Pagati con assegni falsi per oltre 400 mila euro. Ma i componenti della banda ora sono stati condannati in primo grado.
Hanno iniziato con il vino. Si sono dai all’high tech, agli animali (solo se con il pedigree), ai gioielli e agli orologi pregiati. Fino a che la primavera scorsa non sono stati scoperti dai carabinieri di Artogne, che hanno condotto le indagini. E adesso a presentare il conto è il giudice.
Per i signori della truffa arrivano condanne per circa 20 anni. Loro ne avevano impiegati molti meno a racimolare oltre 400 mila euro grazie a una serie di truffe e pagamenti con assegni falsi appositamente fabbricati «in casa». All’origine delle indagini, coordinate dal pm Ambrogio Cassiani, alcune chiamate anonime ai militari in cui si facevano nomi e cognomi sui presunti responsabili del colpo alla cooperativa Clarabella di Iseo: era l’8 ottobre 2016, pagarono 11.750 euro con assegno farlocco per la bellezza di 1.200 bottiglie di vino. Truffa che fu poi attribuita a Carlo Torri, 28enne di Sarnico, e Antonio Toini, 59enne di Angolo terme (il «vecchio» del gruppo). Davanti al gip Alessandra Sabatucci ha patteggiato 3 anni e 8 mesi, il secondo, invece, è l’unico che andrà a dibattimento. I mandanti: Maurizio Baiguini, il boss, pure lui 59enne di Angolo, e la compagna romena Anca Susciu. Sette anni in abbreviato al primo, 2 anni e dieci mesi a lei. E poi ci sono Carlo Girelli, 54 anni, di Bagnolo Mella — condannato a 5 anni in abbreviato — e Matteo Consoli, un anno e otto mesi pena sospesa, accusato di riciclaggio e lesioni su animali: dopo l’acquisto di due cuccioli in allevamento (al solito pagati con un raggiro) fu lui a sostituirne i microchip per evitare, secondo l’accusa, fossero ricondotti a una precedente attività illecita.
Almeno una cinquantina gli episodi accertati dagli investigatori, messi a segno tra il 2015 e il 2016, che all’epoca delle misure cautelari definirono l’attività del gruppo un sistema assolutamente «efficiente e collaudato». Non colpivano solo nel Bresciano, anche in Toscana, Veneto, Friuli, Piemonte: sperando ovviamente di restare impuniti proprio per la loro capacità di muoversi.
Il centro di stoccaggio in un magazzino di Bagnolo Mella, dove l’Arma trovò Rolex e gioielli per un valore di 200 mila euro, oltre a moto, bici e attrezzi. In casa di Baiguini, invece, attrezzatura, software e programmi per stampare assegni e documenti falsi (oltre a migliaia di tessere in bianco). Era proprio lui, con la compagna, a puntare le vittime dei raggiri, privati o aziende che fossero: prendevano contatti, temporeggiavano, richiamavano, ogni volta con un’identità (e un numero di telefono) diversa, proponevano anche pagamenti cash proprio per conquistare la fiducia di chi cadeva nella loro rete. Imperativo: chiudere la trattativa in prossimità del weekend, in modo che non ci fosse il tempo materiale per riscuotere subito. e accorgersi della truffa.
«Se non ti arrestano queste cose vanno tutte in prescrizione» diceva Baiguini a Susciu. La quale stava addirittura pensando di trasferirsi in un appartamento più grande, in modo che lui avesse più spazio a disposizione per installare «computer, stampante e plotter». E invece no. Sono stati scoperti, e condannati. Sospettavano ci fosse «una talpa» nel gruppo (qualcuno all’epoca pensò alla fuga all’estero): erano i carabinieri di Artogne a «controllarli», coordinati dalla procura.