Rovetta: vi spiego la rivoluzione della robotica
L’intervista Il professor Alberto Rovetta oggi all’Accademica di Cultura
«Èun falso mito dire che i robot creino disoccupazione. Il loro utilizzo ha migliorato i processi produttivi e ridotto i lavori pesanti e pericolosi: pensi solo alla siderurgia. Negli ultimi anni, poi, la tecnologia ha fatto passi da gigante. Con applicazioni che coinvolgono il lato emozionale dell’intelligenza e non solo quello logico di Platone». Il professor Alberto Rovetta, 77 anni di origini bresciane, coordinatore del Laboratorio
Il falso mito Le macchine non creano disoccupazione, ma migliorano processi e qualità del lavoro
di Robotica del Politecnico di Milano, interverrà oggi alle 18 all’Accademia Cattolica di Brescia parlando di umano e postumano: «Le tecnologie per la vita e la biorobotica». Il docente, professore emerito dell’università Behiang di Aeronautica e Astronautica di Pechino, ha visto cambiare il mondo e, con esso, non solo l’industria, ma la tecnologia stessa.
Tecnologia e robotica sono al servizio dell’umanità nel senso che moltiplicano le possibilità dell’uomo?
«Negli anni ‘70 le aziende automobilistiche avevano adottato i robot. Facevano lavori lunghi e ripetitivi, ma i vantaggi per la sicurezza erano tanti: nessuno dei 3 milioni di robot oggi presenti nel mondo ha mai ucciso un operaio. Usa, Germania, Giappone, Corea: tutti investivano sul settore, compresa l’Italia. L’automazione è migliorata, fino al 2000».
Poi c’è stata un’interruzione?
«Sì, mancava il passo successivo. E la tecnologia era troppo costosa. Poi sono arrime vate le microcamere, i sensori, la rilevazione delle voce, pensi allo sviluppo dei cellulari. La molla però è scattata quando si è applicata la neurologia moderna all’emisfero destro del cervello, quello dell’emozione. Prima, invece, si lavorava solo con la parte logica dell’intelligenza artificiale. Unendo computer, emozioni, neurologia si è passati dalla tecnologia a un discorso più vasto di cultura».
Vedremo i robot nelle case di riposo?
«Andremo sempre più verso una biorobotica. Se una macchina parla, significa che partecipa sia a livello logico sia emotivo. La stessa riabilitazione si sviluppa non più solo co- esercizi ripetitivi. Gli strumenti saranno sempre più umani. E questo anche grazie all’arricchimento della tecnologia».
Se pensiamo alle applicazioni industriali, in quali settori c’è stata una moltiplicazione dei robot?
«Pensi agli ospedali. Qui a Milano i robot vengono usati in diverse sale operatorie per affiancare il chirurgo. Oggi i robot sono usati in campi come quello spaziale, ci sono macchinari che lavorano sott’acqua e altri che si muovono in impianti nucleari in Brasile. Ma c’è anche l’uso domestico: nel 2007 ci portarono al Politecnico un robot a forma di disco. Puliva i pavimenti da solo e ci chiesero di studiarlo. Oggi nel mondo ce ne sono 6 milioni».
Sulla robotica si sono fatti passi da gigante, anche sul fronte dell’intelligenza artificiale. Come mai, invece, si fa poco sul fronte dei cambiamenti climatici, dove urge ridurre i gas serra?
«Guardi, sono sorpreso quanto lei. Si producono nanosensori capaci di rilevare i più piccoli movimenti e si fa poco e nulla per la qualità dell’acqua e dell’aria. Non riesco a capirne il senso. Mi accorgo che si fa fatica anche a parlarne. Solo quando c’è qualche allarme, allora si attivano una serie di risposte. Temporanee». Cosa manca? «La volontà, credo. A Pechino, anni fa, mi invitarono a visitare un laboratorio per la rilevazione dell’aria. C’erano macchine adatte, ma coperte dal cellophane. Erano così da anni. Segno che i fondi non mancavano, serviva la volontà. Che poi arrivò. E con essa i risultati».
Le nuove frontiere Andremo sempre di più verso la biorobotica, gli strumenti saranno sempre più umani L’uso domestico Nel 2007 ci portarono un robot a forma di disco, puliva i pavimenti ora ce ne sono sei milioni