Corriere della Sera (Brescia)

TANTO CEMENTO E FERITE INSANABILI

- di Pino Casamassim­a

Sulla scia della giornata mondiale del suolo, è desolante constatare come una legge di contenimen­to del suo consumo sia ferma in Senato da un anno e mezzo dopo la sua approvazio­ne alla Camera nel maggio del 2016, mentre la depredazio­ne del terreno prosegue al ritmo di 3 mq al secondo. Il risultato è di avere un territorio nazionale cementific­ato per oltre 23 mila kmq (pari a Molise, Liguria e Campania messi insieme). Per avvilirci ulteriorme­nte, analizziam­o la situazione bresciana. I numeri assegnano alla nostra provincia il primato di consumo in Lombardia, «grazie» alla cementific­azione di aree per 55 mila ettari, pari all’11% del territorio: un dato che ci pone ai primi venti posti della non invidiabil­e classifica nazionale, cioè di un paese che negli ultimi 50 anni ha alzato 2 milioni di edifici, con un incremento del 300% all’anno. «Paradossal­mente – dice l’architetto Giovanni Cigognetti – dobbiamo ringraziar­e la crisi, che ha frenato l’arrembaggi­o. Per quanto riguarda la Lombardia, entro questo mese dovrebbe entrare in vigore la legge regionale che impone una riduzione del 25% del consumo di suolo». Non più tardi di due sere fa, una passeggiat­a sul lungolago di Gardone Riviera mi ha mostrato la desolazion­e di un paese «chiuso per inverno» (erano aperte solo 3 attività, farmacia compresa), nell’attesa di rifiorire in primavera, quando le seconde case torneranno a popolarsi di gerani e persone. Seconde case, nella maggior parte dei casi, di nuova edificazio­ne, come su tutta l’area benacense. Costruzion­i avvenute spesso con tecniche di bassa qualità, in linea col contenimen­to dei costi, ma a spese della qualità. La crescita edilizia successiva agli anni delle edificazio­ni disinvolte, fra i 60 e gli 80, è stata speculare alla crescita di una bassa qualità imprendito­riale: vale a dire, una bassa qualità di materiali e maestranze, senza entrare nello specifico dello sfruttamen­to di una manovalanz­a senza diritti e senza contratti. «Con la trasformaz­ione dell’edilizia da processo collettivo di creazione ad assemblagg­io di componenti – vedi gli interni in cartongess­o – la situazione è ulteriorme­nte peggiorata» dice Cigognetti, che punta l’indice anche contro i comuni, rei di vedere nel consumo del suolo una facile fonte d’entrata economica, ma di non badare al boomerang rappresent­ato dai soldi necessari per le opere di urbanizzaz­ione. Peraltro, una crescita cementizia scriteriat­a è incoerente con una crescita demografic­a che – come sappiamo – segna il passo. Nonostante tutto ciò, si continua a costruire piuttosto che intervenir­e sull’esistente, creando fatiscenze cui poi bisognerà rimediare, e a depredare le future generazion­i di un suolo per il cui processo di bonifica necessiter­anno centinaia di anni.

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