Ernia, rap in bilico tra poetica e arroganza
Il rapper «anomalo» che ama Coleridge e Gogol al Latte Più con l’ultimo album
Ernia non lascia ma raddoppia. Dopo il successo estivo dell’album «Come uccidere un usignolo» il rapper milanese ripropone uno speciale repack ricco collaborazioni da Guè Pequeno a Mecna. L’appuntamento è il sabato al Latte Più (alle 23: ingresso 15 euro, prevendite 13).
Il live per lei rappresenta un punto fondamentale…
«Esatto, credo sia un effettivo banco di prova. Molto spesso chi fa rap fa molto credito sulle visualizzazioni di YouTube o Spotify e in generale sui numeri online. Tuttavia, esistono molti artisti che hanno poche visualizzazioni online eppure fanno sold out ai concerti. Il live è l’apice di un lavoro artistico, riesci a vedere in modo fisico i numeri che hai fatto nei mesi precedenti». Come descrive l’album? «Si tratta di un album autobiografico, faccio fatica a scrivere di qualcosa che non vivo direttamente. L’aggettivo che meglio lo definisce è vario ma con coerenza. Ci sono pezzi come Disgusting che hanno fatto grandi numeri negli ascolti online, altri come Noia che si rifanno alla trap soul degli Usa, fra le cose più fresche che attualmente circolano nel mondo del rap». Come ha iniziato? «Avevo 12 anni. A quel tempo la moda era quella di andare a ballare in posti come lo Shocking e il Beat Club, tutti vestiti con occhiali di Gucci e camicia allacciata. Io e Tedua (Mario Molinari, ndr) ci siamo sempre sentiti fuori da quel tipo di ambiente quindi abbiamo iniziato a gravitare dalle parti del Lido dove ragazzi più grandi si lanciavano in jam session e facevano un po’ di freestyle. Non abbiamo mai pensato che si potesse trasformare la passione in un lavoro. Quando qualche anno dopo è uscito il primo video di Fabri Fibra, in televisione tutto è cambiato e l’idea che il rap potesse essere qualcosa di più ha iniziato a farsi strada».
Adesso la situazione è diversa?
«La mancanza del rap in televisione e in radio per molti anni ha creato un vuoto di educazione musicale. Per la maggior parte del pubblico italiano chi fa rap è un essere molleggiato che parla in rima. Adesso che il rap sta vivendo una piccola esplosione, tutti vogliono fare rime partendo dai video di YouTube, agghindandosi con catene al collo e cappellini firmati. Non c’è una vera cultura rap, forse la prossima generazione ne avrà una».