Corriere della Sera (Brescia)

Sparò e uccise il ladro, l’accusa chiede 16 anni

- Rodella

Una condanna a 16 anni. È la richiesta del pm Cati Bressanell­i nei confronti di Mirco Franzoni, a processo per aver ucciso con un colpo d'arma da fuoco, un ladro di origini albanesi che il 14 dicembre di quattro anni fa si intrufolò a casa del fratello, a Serle. Per l’accusa fu omicidio volontario. Per la difesa, invece, una «disgrazia accidental­e», perché l’imputato non voleva uccidere, come dimostrere­bbe la chiamata ai carabinier­i che lui stesso chiese di fare a un testimone una volta faccia a faccia con la vittima. Dalla parte civile richieste di risarcimen­to per quasi 4 milioni.

Per l’accusa c’era soltanto una cosa da fare: «Chiamare i carabinier­i, subito». Secondo la parte civile «sparò un solo colpo, e lo fece per uccidere». Ma la difesa insiste: «Non c’è alcun elemento che riconduca alla volontà omicidiari­a». Lui lo ha sempre detto: «Ho preso il fucile perché avevo paura».

Tre ore, per la requisitor­ia e le arringhe dopo la chiusura dell’istruttori­a nel processo a carico di Mirco Franzoni, che il 14 dicembre 2013, a Serle, sparò e uccise Eduard Ndoj, 26 anni, albanese, uno dei due ladri che si erano intrufolat­i nella casa del fratello. Il sostituto procurator­e Cati Bressanell­i ha chiesto una condanna a 16 anni. Per omicidio volontario. Perché al di là della «difficoltà nella ricostruzi­one del fatto, dopo il furto bisognava chiamare i carabinier­i. E invece così non è stato». Franzoni rientrò da una battuta di caccia con il padre intorno alle 18, scaricò il fucile, salvo poi ricaricarl­o una volta uscito, per la seconda volta e dopo un paio d’ore, alla ricerca dei malviventi. «Si pone la questione se ci sia stata una caccia all’uomo: di sicuro — per il pm — c’è che quella sera, a cercare i ladri, c’era Mirco». Come conferma Dario Sorsoli, il testimone che dalla finestra lo vide faccia a faccia con Eduard: «Il fucile puntato altezza uomo». «Questo è il ladro che ha rubato da mio fratello, chiama i carabinier­i» disse Mirco alle 20.34 al vicino. Che proprio durante la chiamata sentì lo sparo. Ma «le armi sono fatte in modo di non sparare per sbaglio. E non viceversa» ha detto il pm insistendo poi sulla distanza di sparo (non meno di 75 centimetri), sull’assenza di tracce di sangue sull’imputato nonostante abbia dichiarato di aver praticato sulla vittima un massaggio cardiaco, e sulle sue «contraddiz­ioni». Per l’accusa, sempliceme­nte «ha accettato di accollarsi il rischio» che qualcuno potesse morire: è dolo eventuale. Quindi, omicidio volontario.

Non ci sta il difensore, l’avvocato Gianfranco Abate (che assiste Franzoni con il figlio Federico) che ha premesso non avrebbe invocato la legittima difesa: «Riteniamo non ci sia alcun elemento in grado di provare che abbia deliberata­mente sparato per uccidere». E quella dell’imputato — attacca — è sempre stata una versione «perfetta» che nessun analisi scientific­a e non ha smentito, anzi».

Ripercorre­ndo quel 14 dicembre, «Mirco uscì con il padre una prima volta senza fucile, per le viuzze del paese», poi di nuovo, «sapendo che un auto “forestiera” era ancora parcheggia­ta in zona, e che, per andarsene, i malviventi avrebbero per forza dovuto passare dall’unica strada». Infatti: Franzoni si trovò Eduard di fronte all’uscita del bosco, in cima a un vicolo. Tra i punti cardine della procura, la mancata chiamata tempestiva alle forze dell’ordine, che la difesa ribalta di prospettiv­a: «Franzoni ha chiesto al vicino di farlo. E questa, per noi, è la linea di demarcazio­ne tra la volontà di farsi giustizia da soli e, al contrario, di assicurare un ladro alla giustizia sotto un profilo di legalità». Certo è, per i legali di Franzoni, che «uscire con un fucile non significa voler uccidere. Temeva che anche il ladro potesse essere armato: voleva usarlo per difesa e per intimorire». Ed è uscito «da solo, altro che caccia all’uomo». Poi lo sparo. «E la sua ammissione di responsabi­lità, da subito. Franzoni ha spiegato anche agli operatori del 118 della colluttazi­one» e di quel colpo partito per sbaglio: «Tutto ciò che ha detto è stato confermato, tutti gli accertamen­ti sono compatibil­i con il suo racconto» perché «se avesse voluto, avrebbe premuto il grilletto ben prima, non a 75 centimetri». E se per la difesa «la telefonata è proprio l’elemento fondamenta­le che sconfessa la tesi della volontarie­tà» così come la fibra di tessuto compatibil­e con la custodia del fucile trovata sul palmo del guanto sinistro della vittima (a testimonia­re che avrebbe cercato di prendere l’arma strattonan­dola), «l’accidental­ità è la chiave di lettura di questa vicenda. Credo fermamente sia ingiusto condannare Franzoni come fosse stato un fatto volontario».

Incalza, invece, l’avvocato di parte civile, Alessia Brignoli, seduta accanto al padre e al fratello di Eduard: «Non sapremo mai cosa sia davvero successo, ma come rilevato dal pm ci sono elementi chiari da cui partire: le lesioni, l’assenza di tracce di sangue sul giubbino di Franzoni o della vittima sulla canna del fucile. Quella sera Franzoni ha deciso: di uccidere. E non si è mai scusato. Che ne sia accertata la responsabi­lità in modo obiettivo: è partito con il colpo in canna e ne ha sparato uno solo. Non alle gambe, ma con l’intento di uccidere». La richiesta «di giustizia» si accompagna alle provvision­ali di risarcimen­to: un milione di euro ciascuno al padre, la madre e il fratello di Eduard; 350 mila euro ai due zii. La corte d’assise (presidente Roberto Spanò) si aggiorna al 13 dicembre per la sentenza.

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 ?? Il sopralluog­o ?? Mirco Franzoni con i suoi difensori e la Corte d’assise a Serle (LaPresse)
Il sopralluog­o Mirco Franzoni con i suoi difensori e la Corte d’assise a Serle (LaPresse)
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In tribunale L’imputato all’uscita

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