Vineis: insieme per salvare il clima
Paolo Vineis, direttore del Dipartimento di Epidemiologia Ambientale dell’Imperial College di Londra, ospite per due giorni dell’Università statale di Brescia conferma che il problema principale è il cambiamento climatico. «Va risolto insieme, come è stato in passato per il vaiolo», perché il clima non ha confini.
Più prevenzione, più sforzi comuni tra i diversi ambiti e superamento del localismo. Lo dice il professor Paolo Vineis, direttore del Dipartimento di Epidemiologia Ambientale dell’Imperial College di Londra, ospite per due giorni dell’Università statale di Brescia (grazie al laboratorio H&W B+LabNet) per parlare delle sfide del cambiamento climatico e della necessità di trovare risposte comuni.
Autore di oltre 800 articoli scientifici e diversi libri (tra questi «Salute senza confini», Codice, Torino, 2014; «Health without borders», Springer, 2017), Vineis è stato vice-chair del Comitato Scientifico dell’International Agency for Research on Cancer (OMS). Oggi coordina il programma Horizon 2020 «Lifepath» sulle diseguaglianze nella salute, finanziato dalla Commissione Europea. Dopo essere intervenuto ieri pomeriggio all’università di Medicina per un incontro divulgativo oggi alle 9, sempre a Medicina, l’incontro tra studiosi sul tema «Ambiente, genomica ed epigenomica».
Professor Vineis, due giorni a Brescia per parlare delle sfide convergenti per affrontare il cambiamento climatico: quale è il messaggio forte che vuole trasmettere?
«Che agendo in un ambito si possono avere effetti positivi anche in altri settori. Intervenendo sui trasporti posso avere effetti sulla salute, attraverso la riduzione del particolato, ma anche sul cambiamento climatico, attraverso la riduzione dei gas serra. Oppure, altro esempio, il limitare il consumo di carne può ridurre l’obesità o alcune forme di tumori ma allo stesso tempo avere effetti positivi anche sui gas serra, nell’ordine del 10% circa, dal momento che gli allevamenti producono metano»
Il cambiamento climatico è davvero l’emergenza principale che dobbiamo affrontare a livello globale?
«Così sostengono numerosi esperti a livello internazionale, compreso il gruppo di studio dell’Imperial College. E ancor più importante è il fatto che non abbiamo a disposizione molti anni per intervenire e per evitare conseguenze sempre più drammatiche. Conseguenze che peraltro già oggi colpiscono maggiormente le popolazioni più povere»
Infatti cresce sempre più anche il numero di cosiddetti profughi ambientali ma, a proposito di poveri, lei coordina un progetto europeo sulle differenze in sanità. Cosa ne sta venendo fuori?
«La disuguaglianza, anche in campo sanitario, sta crescendo e l’Italia non è esente da tale processo, anzi. Ci sono fattori di rischio specifici e un diverso accesso alle cure che hanno come effetto differenti livelli di mortalità tra le classi sociali. È questo il fenomeno che stiamo osservando: deprivazione, stress, minore accesso alle cure o diagnosi tardive hanno conseguenze
importanti per la salute. E questo avviene in modo differente tra le classi sociali. Anche in Italia»
Rispetto al grande tema del cambiamento climatico lei suggerisce la creazione di un’agenzia internazionale dedicata. Gli organismi sovranazionali non sembrano però molto di moda tra le popolazioni in questo momento.
«Ne sono consapevole, ma so anche che il clima non conosce confini. La CO2 non distingue tra Lombardia ed Emilia Romagna, così come non riesce a capire le differenze tra Catalogna e Spagna. Il mio termine di paragone è l’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha sconfitto il vaiolo. Oggi abbiamo di fronte una sfida ancora più grande e ci vorrebbe un Progetto Manhattan globale sul cambiamento climatico per trovare le risposte adeguate». Non sembra molto possibile in tempi brevi: negli Stati Uniti abbiamo un presidente che mette addirittura in discussione l’esistenza stessa di un problema a riguardo.
«Mi rendo conto delle difficoltà e temo che solo mutamenti importanti potrebbero orientare davvero l’opinione pubblica a cambiare approccio. Di sicuro anche i media un ruolo potrebbero averlo, ma so che viviamo in tempi nei quali le opinioni valgono quanto o più dei fatti. Anche Agenzie come l’Oms hanno difficoltà comunicative, ma se il problema è globale la risposta non può che esserlo altrettanto».
Inquinamento, Pcb, discariche, lasciti industriali del Novecento: Brescia ha tanti problemi specifici sotto il profilo ambientale. Secondo lei gli effetti negativi sulla salute si sommano o si moltiplicano?
«Non conosco la situazione bresciana e non voglio azzardare considerazioni. Certo, è plausibile che gli inquinanti agiscano sugli stessi percorsi molecolari e che quindi gli effetti siano maggiori, ma non abbiamo gli elementi scientifici per dirlo. Di sicuro vale la regola del principio di precauzione e quindi della necessità, indipendentemente dall’effetto moltiplicativo, di limitare i fattori di rischio».
La strategia È come per il vaiolo, il problema lo si risolve se lo si affronta a livello internazionale Le disuguaglianze La disuguaglianza, anche in campo sanitario, sta crescendo e l’Italia non è esente da tale processo