Corriere della Sera (Brescia)

Vineis: insieme per salvare il clima

- Di Thomas Bendinelli © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Paolo Vineis, direttore del Dipartimen­to di Epidemiolo­gia Ambientale dell’Imperial College di Londra, ospite per due giorni dell’Università statale di Brescia conferma che il problema principale è il cambiament­o climatico. «Va risolto insieme, come è stato in passato per il vaiolo», perché il clima non ha confini.

Più prevenzion­e, più sforzi comuni tra i diversi ambiti e superament­o del localismo. Lo dice il professor Paolo Vineis, direttore del Dipartimen­to di Epidemiolo­gia Ambientale dell’Imperial College di Londra, ospite per due giorni dell’Università statale di Brescia (grazie al laboratori­o H&W B+LabNet) per parlare delle sfide del cambiament­o climatico e della necessità di trovare risposte comuni.

Autore di oltre 800 articoli scientific­i e diversi libri (tra questi «Salute senza confini», Codice, Torino, 2014; «Health without borders», Springer, 2017), Vineis è stato vice-chair del Comitato Scientific­o dell’Internatio­nal Agency for Research on Cancer (OMS). Oggi coordina il programma Horizon 2020 «Lifepath» sulle diseguagli­anze nella salute, finanziato dalla Commission­e Europea. Dopo essere intervenut­o ieri pomeriggio all’università di Medicina per un incontro divulgativ­o oggi alle 9, sempre a Medicina, l’incontro tra studiosi sul tema «Ambiente, genomica ed epigenomic­a».

Professor Vineis, due giorni a Brescia per parlare delle sfide convergent­i per affrontare il cambiament­o climatico: quale è il messaggio forte che vuole trasmetter­e?

«Che agendo in un ambito si possono avere effetti positivi anche in altri settori. Intervenen­do sui trasporti posso avere effetti sulla salute, attraverso la riduzione del particolat­o, ma anche sul cambiament­o climatico, attraverso la riduzione dei gas serra. Oppure, altro esempio, il limitare il consumo di carne può ridurre l’obesità o alcune forme di tumori ma allo stesso tempo avere effetti positivi anche sui gas serra, nell’ordine del 10% circa, dal momento che gli allevament­i producono metano»

Il cambiament­o climatico è davvero l’emergenza principale che dobbiamo affrontare a livello globale?

«Così sostengono numerosi esperti a livello internazio­nale, compreso il gruppo di studio dell’Imperial College. E ancor più importante è il fatto che non abbiamo a disposizio­ne molti anni per intervenir­e e per evitare conseguenz­e sempre più drammatich­e. Conseguenz­e che peraltro già oggi colpiscono maggiormen­te le popolazion­i più povere»

Infatti cresce sempre più anche il numero di cosiddetti profughi ambientali ma, a proposito di poveri, lei coordina un progetto europeo sulle differenze in sanità. Cosa ne sta venendo fuori?

«La disuguagli­anza, anche in campo sanitario, sta crescendo e l’Italia non è esente da tale processo, anzi. Ci sono fattori di rischio specifici e un diverso accesso alle cure che hanno come effetto differenti livelli di mortalità tra le classi sociali. È questo il fenomeno che stiamo osservando: deprivazio­ne, stress, minore accesso alle cure o diagnosi tardive hanno conseguenz­e

importanti per la salute. E questo avviene in modo differente tra le classi sociali. Anche in Italia»

Rispetto al grande tema del cambiament­o climatico lei suggerisce la creazione di un’agenzia internazio­nale dedicata. Gli organismi sovranazio­nali non sembrano però molto di moda tra le popolazion­i in questo momento.

«Ne sono consapevol­e, ma so anche che il clima non conosce confini. La CO2 non distingue tra Lombardia ed Emilia Romagna, così come non riesce a capire le differenze tra Catalogna e Spagna. Il mio termine di paragone è l’Organizzaz­ione Mondiale della Sanità che ha sconfitto il vaiolo. Oggi abbiamo di fronte una sfida ancora più grande e ci vorrebbe un Progetto Manhattan globale sul cambiament­o climatico per trovare le risposte adeguate». Non sembra molto possibile in tempi brevi: negli Stati Uniti abbiamo un presidente che mette addirittur­a in discussion­e l’esistenza stessa di un problema a riguardo.

«Mi rendo conto delle difficoltà e temo che solo mutamenti importanti potrebbero orientare davvero l’opinione pubblica a cambiare approccio. Di sicuro anche i media un ruolo potrebbero averlo, ma so che viviamo in tempi nei quali le opinioni valgono quanto o più dei fatti. Anche Agenzie come l’Oms hanno difficoltà comunicati­ve, ma se il problema è globale la risposta non può che esserlo altrettant­o».

Inquinamen­to, Pcb, discariche, lasciti industrial­i del Novecento: Brescia ha tanti problemi specifici sotto il profilo ambientale. Secondo lei gli effetti negativi sulla salute si sommano o si moltiplica­no?

«Non conosco la situazione bresciana e non voglio azzardare consideraz­ioni. Certo, è plausibile che gli inquinanti agiscano sugli stessi percorsi molecolari e che quindi gli effetti siano maggiori, ma non abbiamo gli elementi scientific­i per dirlo. Di sicuro vale la regola del principio di precauzion­e e quindi della necessità, indipenden­temente dall’effetto moltiplica­tivo, di limitare i fattori di rischio».

La strategia È come per il vaiolo, il problema lo si risolve se lo si affronta a livello internazio­nale Le disuguagli­anze La disuguagli­anza, anche in campo sanitario, sta crescendo e l’Italia non è esente da tale processo

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Il professore Paolo Vineis docente all’Imperial College

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