«Le ragazze con la pistola» e il terrorismo
Storia Nuovo libro di Pino Casamassima sulla lotta armata al femminile
L’idea ambiziosa e rivoluzionaria — rivoluzionaria davvero perché ormai priva di qualsiasi «bisogno» — di una liberazione femminista capace di estirpare al medesimo tempo la malapianta dell’obbedienza (sociale) e della sudditanza (economica) ha infine abdicato in favore di un processo emancipativo surrettizio, che alla prima occasione ha svenduto perfino diritti/ruoli/immagini di sé strappati coi denti e col sangue.
Il corpo della donna, prima sacro tabernacolo nel mondo cattolico, poi banco da vendita di qualsiasi prodotto nella «società dello spettacolo» è tornato a essere ricollocato in una dimensione totalmente subalterna ai bisogni maschili.
Il bel «mostro» del corpo femminile s’è rimbellettato di una schiavitù radiosa, di una alienazione attiva spacciata per libertà sul libero mercato. Un «mostro» di donna parabolizzato con l’esportazione di un modello femminile che rappresenta quell’Occidente dalla lucentezza televisiva da raggiungere con qualsiasi mezzo e a qualsiasi costo.
La sconfitta del movimento femminista sta tutta qui: nel non aver voluto condividere un percorso comune con chi (uomini e donne) immagina crescenti va (progettava) un mondo diverso con «bisogni» comuni, non parcellizzati per genere.
Una sconfitta che ha più genesi: una di esse, forse la più pregnante, ha pure una data, paradossalmente sotto forma di vittoria: la vittoria del Movimento femminista su Lotta continua.
Erano i primi giorni di novembre del 1976 quando si consumò la spaccatura fra quella organizzazione e le femministe sulla base di una resa dei conti non più procrastinabile. Era successo che i attriti avevano avuto la tracimazione del famoso vaso colmo nel dicembre dell’anno precedente, quando, a un importante e folto corteo per la spedalizzazione dell’aborto, Lotta continua aveva partecipato con un proprio striscione, dietro al quale erano stati stipati — come sempre e indistintamente — uomini e donne.
Ma quando le femmine avevano cercato di staccarsi per rivendicare una propria autonomia, erano state caricate dal servizio d’ordine di Lc, notoriamente prodigo di mazzate. Fu quello il punto di non ritorno.
Tutti sapevano che qualcosa di irreversibile sarebbe successo. E così fu.
Ma sarebbe mistificatorio assegnare a quell’episodio da «Sfida all’Ok Corral» una valenza superiore a quella che oggettivamente ha. Il movimento femminista, cresciuto negli anni 70, aveva già partorito gran parte di quella autonomia prima avanzata timidamente, poi rivendicata con sempre maggiore vigore.
La novità di quel congresso di Lotta continua stava nel fatto che per la prima volta, le donne pretesero ruoli maschili, sconfiggendo la controparte.
Cosa generò quella spaccatura non è storicizzabile con certezze assolute. Vero è che alcune di quelle donne aderirono a scelte estreme già fatte anni prima da alcune di esse, come Margherita Cagol, leader delle Brigate rosse, l’organizzazione sovversiva che lei stessa aveva fatto nascere insieme a suo marito Renato Curcio nell’autunno del 70, e che morirà in un conflitto a fuoco coi carabinieri.
È il caso di Annamaria Ludmann, la maestrina di Genova che fece della sua casa di via Fracchia la base della colonna più temuta delle Brigate rosse, fino del 28 marzo 1980 in cui fu uccisa con altri suoi tre compagni nel blitz dei carabinieri di Dalla Chiesa.
Così come di Barbara Azzaroni, militante di Prima Linea, che perse la vita a Torino il 28 febbraio 1979 in un blitz della polizia.
Donne la cui vita può essere solo letta in chiave storica, non morale, ché quello è mestiere di altri.
La collisione fra istanze femministe e militanza di sinistra avvenne dentro Lotta Continua Fine tragica / 1 Mara Cagol fondò con il marito Renato Curcio le Br: cadde in un conflitto a fuoco con i carabinieri Fine tragica / 2 Annamaria Ludmann fece della sua casa di via Fracchia la base della colonna genovese