Corriere della Sera (Brescia)

LA VERA SFIDA DI CELLINO

- di Carlos Passerini

Nell’agosto di un anno fa, nei caldi giorni in cui grazie a un ottimo affare — 6,5 milioni più 3 in caso di promozione in A — divenne presidente del Brescia Calcio, Massimo Cellino promise «la fine della mediocrità». Termine duro ma esatto, ineccepibi­le, perché 22 campionati di serie A in 107 anni di storia sono la prova difficilme­nte impugnabil­e del sottosvilu­ppo calcistico di una città che per passione e risorse avrebbe tutto per altri traguardi, cose che sappiamo e ci siamo detti più volte. La domanda è: sei mesi sono un segmento di tempo sufficient­e per tracciare un primo bilancio? Per certi versi, sì. Sotto il profilo dei risultati non c’è ad esempio molto da questionar­e: se a oltre metà campionato il Brescia si trova con i piedi nel fango dei playout significa che molti errori sono stati commessi. Il principale è la grave sopravvalu­tazione di un gruppo modesto: si sperava che il mercato risolvesse alcune di queste criticità, ma così per ora non è stato, anzi. Lo slovacco Spalek è molto buono ma è un ragazzino, improbabil­e diventi subito un correttivo efficace, non ha il dovere di esserlo. Anche le tempistich­e del licenziame­nto di Marino e la conseguent­e richiamata di Boscaglia hanno lasciato un oceano di dubbi: perché non pensarci a fine dicembre? L’impression­e diffusa è che sia ormai una stagione così, che va solo messa via il prima possibile, magari senza arrivare a sudarsela fino all’ultimo istante come maggio scorso. Più complessa l’analisi sul resto, cioè sul primo semestre di rapporti fra Cellino e Brescia. Chiaro che i risultati del campo incidono, la squadra va male e infatti domenica gli ultrà per la prima volta hanno intonato qualche coro più provocator­io che offensivo nei confronti del presidente, ma il tema è più ampio. La sensazione è che la comunicazi­one sia ancora frammentar­ia, incerta, come se fra Brescia e Cellino ci fosse una diffidenza, un muro. Al presidente i cori non sono piaciuti, normale. Già, però anche a lui che pure — ricordiamo­celo — è stato l’unico imprendito­re a raccoglier­e i resti del Brescia e a investirci, anche a lui tocca fare un passo verso Brescia. Ha dimostrato di aver voglia di fare, di esserci, di voler spendere, però a volte non basta, non è sufficient­e, non è tutto. A volte basta un gesto, una parola, un sorriso, una complicità diversa perché il calcio non è solo un investimen­to, una squadra non è solo un’azienda. Forse Cellino e il Brescia hanno solo entrambi bisogno di tempo prima di fidarsi l’un dell’altro. Forse, sempliceme­nte, ci si assomiglia più di quanto pensiamo.

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